lunedì 13 febbraio 2012

Tesi Elisa Casetta (Capitolo 2): La formazione dell'Educatore Professionale

Terzo appuntamento con la tesi di Elisa Casetta.
Dopo aver parlato, nel capitolo 1, dell'evoluzione delle politiche sociali e della nascita e sviluppo della figura dell'educatore professionale, nel secondo capitolo Elisa affronta la questione della formazione.
Buona lettura, e alla prossima settimana con il terzo capitolo!!


CAPITOLO 2

La formazione dell'Educatore Professionale
"L' educatore professionale in questi ultimi anni ha aperto nuovi spazi e ristrutturato alcuni aspetti della professione: sono stati definiti il profilo e il percorso lavorativo, si sono consolidati nuovi ambiti lavorativi (il lavoro di strada, la formazione degli operatori, ecc.) e nuovi approcci metodologici. Ma se da una parte le fondamenta della professione dell'educatore sono solide e forti, come lo è una professione che opera da più di quarant'anni, dall'altra sono ancora in atto lavori di rafforzamento e ampliamento.

I lavori devono consolidare "l'aspetto sociale" dell'educatore, in quanto peculiarità di tutte le professioni socio-sanitaria, evitando così una possibile medicalizzazione derivata dalla collocazione presso il Ministero della Sanità del decreto che definisce l'educatore professionale."

Come emerge dall'articolo di W. Brandani, "Educatore professionale: un cantiere aperto" si aprono per la professione dell'educatore, nuovi spazi di riflessione e revisione: emergono nuovi modelli operativi che richiedono l’implementazione di competenze consolidate e il riconoscimento di nuove, vengono ridefiniti il profilo e il percorso formativo.

I cambiamenti e le evoluzioni del sistema dei servizi e l’emergere di nuovi bisogni sociali cui rispondere, costituiscono uno stimolo per sottoporre la professione ad un’opera di rafforzamento ed ampliamento.

La realtà lavorativa degli educatori è ancor oggi caratterizzata da una pluralità di percorsi che rendono articolato e complesso il panorama professionale; infatti, nell'ambito dei servizi alla persona convivono diverse generazioni di educatori la cui motivazione, i cui percorsi di accesso ed approccio al lavoro si differenziano sostanzialmente.

Il lavoro sociale è regolato, pianificato e finanziato da diversi Enti: lo Stato stabilisce i criteri generali per il riconoscimento delle figure professionali; le Regioni concordano il profilo delle figure a livello nazionale; i Comuni pianificano annualmente i servizi da realizzare nel territorio e, quindi, anche il livello di occupazione degli operatori.


Il cardine istituzionale attorno a cui ruota il sistema delle professioni sociali sono le Regioni, determinanti sia per ciò che attiene la regolazione della domanda di figure professionali, sia per ciò che riguarda la regolazione dell’offerta di qualifiche e competenze.

La modalità di ingresso degli educatori nel mercato del lavoro è stata sempre caratterizzata da diversi canali: alcuni hanno iniziato la propria attività lavorativa privi di una formazione di base, altri hanno frequentato corsi di riqualifica in servizio, altri ancora hanno cominciato dopo aver conseguito titoli specifici.

"Vi è inoltre il difficile lavoro di arginare l’abusivismo di coloro che esercitano la professione senza il titolo abilitante, ingaggiati da un mercato del lavoro che relega la formazione e l’aggiornamento professionale all’area delle ottime rifiniture alle quali poter rinunciare in tempi di ristrettezze economiche" .

Bisogna ricordare, infatti, che molti operatori privi di specifica preparazione professionale e di un titolo abilitante, assunti per lo più negli anni ottanta, hanno iniziato la loro attività lavorativa sotto spinte ideologiche di natura politica o religiosa; nonostante questo, grazie a motivazione, impegno e capacità, hanno creato e dato vita ad iniziative significative ed innovative, contribuendo all’evoluzione dei servizi alla persona. Oltre a queste persone troviamo educatori professionali in possesso di titolo ottenuto presso scuole gestite dalle Università, dalle Regioni (ad esempio la S.F.E.P e la fondazione Feyles) o dalle ASL e ad un livello quantitativamente meno significativo operatori con laurea, in prevalenza in scienze dell’educazione.

Resta comunque grande difficoltà a reperire educatori in possesso del titolo e questo costituisce un elemento di rinforzo all’inserimento di personale privo di formazione specifica. Il problema è determinato anche dal fatto che la domanda di educatori professionali è oggi superiore all’offerta e trova fondamento in precisi standard regionali di funzionamento dei servizi. La collocazione di educatori non specificatamente formati comporta il rischio di creare una situazione lavorativa estremamente disomogenea in cui convivono operatori con scarse, nulle o elevate professionalità e motivazioni.

In questo modo si crea la necessità concreta di inserire nel mondo del lavoro, in qualità di educatori, soggetti con titoli differenti, con conseguenti ricadute sul piano della qualità degli interventi e sul livello di professionalità messa in campo. Con la recente riforma dei percorsi scolastici ed universitari infatti, si è tentato non solo di rendere omogenei i percorsi formativi per consentire agli operatori l’acquisizione di un titolo specifico, ma anche di arginare un processo che potrebbe condurre allo snaturamento della professione.

Il tentativo è quello di evitare un’ulteriore segmentazione del mercato del lavoro, con il conseguente abbassamento del livello di qualificazione professionale. Rimanendo in tema di formazione è necessario, inoltre, porre attenzione ad un aspetto fondamentale per la professione dell'educatore, quello cioè della promozione dell'apprendimento continuo. Si tratta della "formazione permanente" e della "supervisione", considerati due strumenti indispensabili della professione, momenti irrinunciabili di approfondimento ed aggiornamento su specifiche tematiche attinenti la professione ed i settori di intervento e conseguente riflessione sul proprio vissuto e sul proprio operato. E' necessario perciò costruire un collegamento tra formazione di base e formazione permanente in modo da garantire da una parte la valorizzazione e il rafforzamento della propria identità professionale, sia riguardo al crescere di nuovi bisogni e di altre problematiche sociali, sia a proposito di situazioni lavorative in cui l’educatore è coinvolto, e dall'altra momenti di costante aggiornamento, accompagnamento e sostegno allo sviluppo culturale e metodologico della professione.

E' importante perciò che siano affidate all'educatore sia la formazione permanente, che la supervisione e che si prenda sempre più coscienza dell'importanza e dell'efficacia di tali attività.

"(...) A tale figura dovrebbe essere garantita una formazione permanente di qualità non soltanto rivolta all'approfondimento degli aspetti tecnico-operativi, ma che sia in grado di fornire chiavi interpretative per la gestione della complessità cui il lavoro dell'educatore si riferisce e che lo contraddistingue. I contenuti dovrebbero essere veicolati con un'attenzione precipua agli aspetti motivazionali e di soddisfazione nel lavoro; all'individuazione e discussione di problematiche relative alla natura delle relazioni che l'educatore è chiamato a intrattenere a vari livelli e in diversi contesti; a una presa di coscienza e consapevolezza dell'importanza e della centralità degli strumenti del lavoro educativo, tra cui progettazione, valutazione e documentazione, strumenti da valorizzare, che contribuiscono alla creazione e al buon funzionamento di un gruppo stabile di lavoro, funzionale a garantire un elevato livello di qualità degli interventi formativi , nonché fornire ai singoli educatori sostegno e motivazione".

In conclusione possiamo affermare che l’esigenza di fondo rimane quella di giungere a una definizione dei profili professionali che operano sia nel socio-sanitario che nel sociale per una maggiore qualificazione dei servizi e degli interventi pubblici e privati e garantendo la spendibilità dei titoli livello nazionale ed europeo.

In questa prospettiva, va ripensato il sistema delle professioni sociali in modo che si coniughi al sistema dei servizi sia sanitari che sociali, indicando percorsi formativi definiti sia per le figure professionali consolidate e sia per le figure nascenti, favorendo la sperimentazione di nuovi profili.


Per garantire un livello qualificato di servizi è necessario inoltre che le Regioni:

vincolino l’ingresso nei servizi a personale con la specifica qualifica di educatore professionale sia nel settore pubblico sia nel privato convenzionato; in questa direzione, ad esempio, si sono già orientate la Regione Veneto e la Regione Piemonte.

promuovano la formazione in servizio per qualificare gli operatori assunti senza titolo ma con i requisiti di accesso ai corsi stessi;

prevedano corsi specifici per il personale in servizio, privo dei requisiti di accesso alla professione, con la garanzia del mantenimento del posto di lavoro e della qualifica funzionale raggiunta.

Le scuole potrebbero essere nello stesso tempo sedi di formazione di base e luoghi di formazione permanente, in modo da garantire un arricchimento reciproco fra operatori in servizio e operatori in formazione. In questa direzione vanno costruite e praticate situazioni di formazione per porre gli educatori in una posizione di protagonismo, con situazioni di auto-formazione e ricerca professionale finalizzate alla produzione di sapere professionale.



2.1 Gli anni Sessanta/Settanta: alla ricerca di una formazione

La formazione dell'educatore nasce e trova la sua prima fase di sviluppo nel settore della formazione professionale gestita dalle Regioni, accanto alle altre iniziative formative realizzate da Enti pubblici e privati, tra i quali, i corsi effettuati negli anni Cinquanta dalla F.I.R.A.S. (Federazione Italiana Religiose Assistenti Sociali), rivolti a religiose che lavoravano come educatrici all'interno di istituti.

Negli anni sessanta poi, i corsi della F.I.R.A.S. iniziano ad avere una cadenza regolare e una durata pluriennale, mentre sul fronte laico viene fondata a Milano l'E.S.A.E. (Ente Scuola Assistenti Educatori), sempre con lo scopo di formare persone qualificate all'interno del settore sociale.

Nel 1967 la necessità da parte dello Stato e di alcuni Enti assistenziali,tra cui la F.I.R.A.S., di avere personale qualificato all'interno dei proprio istituti si realizza un corso di qualificazione per educatori in servizio, con il concorso anche della Facoltà "La Sapienza" di Roma.

Negli anni settanta hanno inizio, quindi, le prime esperienze pioneristiche di formazione di figure educative con denominazioni diverse (educatore di comunità, educatore specializzato). Si tratta di un periodo caratterizzato da elevata sperimentalità: nascono scuole di formazione per questa figura professionale, in cui vengono in itinere, sperimentate nuove metodologie, nuovi strumenti e vengono rimodulati contenuti e modalità organizzative. La formazione viene affidata, attraverso le Regioni, alle scuole di formazione professionale; viene a delinearsi quindi una situazione differente da Regione a Regione. In questa periodo sono presenti percorsi formativi diversi : biennali, triennali, bienni comuni per educatori ed assistenti sociali con specializzazione nel terzo anno di corso.

Nel 1970 viene attivato il corso per "Educatore di comunità" alla Facoltà "La Sapienza" di Roma che prevedeva la formazione di un educatore:

"professionalmente preparato attraverso una formazione risultante da un'autentica integrazione di dati teorico, tecnici e pratici per l'educazione di fanciulli, adolescenti, giovani, presentanti o no difficoltà d'adattamento, tanto in comunità educative che in ambiente naturale, ad assolvere compiti di animazione sociale e di assumere responsabilità anche
educative in seno alle comunità stesse od a organismi educativo-assistenziali." La logica perseguita è quella di formare un educatore non soltanto nel lavoro circoscritto degli istituti, ma allargando l'ambito del suo intervento fuori dalle mura degli istituiti, teso anche alla prevenzione del disagio sul territorio.

Prima di questo periodo comunque, nonostante le iniziative messe in atto per formare l'educatore, non veniva richiesto alcun diploma specifico.

E’ solo con la fine degli anni settanta che si è cominciato a riconoscere requisiti e competenze del lavoro educativo e che si sono individuati percorsi formativi adeguati che non lasciano la formazione solo al "buon senso" ed all’esperienza professionale maturata sul campo.

E' in questi anni infatti, che nascono le prime riforme e i primi servizi dedicati alla prevenzione del disagio e dell'emarginazione, normati dalla L. 833/78 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale.


2.2 Gli anni ottanta: il Decreto Degan

Gli anni ottanta segnano un momento fondamentale nella storia dell’educatore professionale.

Nel 1984 avviene la nascita ufficiale della figura dell’ "Educatore Professionale", definita con il cosiddetto "decreto Degan".

Con tale provvedimento si identifica l’educatore come "(…) l’operatore che, in base ad una specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico- pratico e nell’ambito dei Servizi socio- educativi ed educativo- culturali extra- scolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi di persone di diverse età mediante la formulazione e attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione agendo, per il conseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo".

Per l'educatore professionale si prevede, a livello nazionale, un percorso formativo triennale universitario o professionale, per eseguire funzioni di rilevanza educativa, rieducativa e riabilitativa, con particolare interesse alla quotidianità e progettualità, in relazione ai servizi con e per la persona.

Con il decreto Degan si è costituito il fondamento legislativo sul quale si sono create e basate le esperienze formative delle scuole professionali regionali sino alla fine degli anni novanta.

Tale provvedimento ha anche accelerato, negli anni ottanta, l’istituzione di nuove scuole convenzionate con le Regioni per corsi di riqualificazione e formazione, contribuendo alla diversificazione dei percorsi didattici ed alla diffusione delle sedi formative sul territorio nazionale. In questi anni, infatti, si assiste ad una progressiva presa di coscienza dell'esigenza di un'adeguata formazione di base per l'educatore e della riqualificazione degli operatori già in servizio.

 

2.3Gli anni novanta: la formazione universitaria

Una prima traiettoria di formazione definita fa riferimento al Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, approvato nel 1989 che istituisce la nascita delle scuole a fini speciali per educatori professionali. L' ordinamento prevede: il diploma di scuola superiore secondaria quinquennale come titolo di ammissione , la durata triennale delle scuole a fini speciali, divisa in moduli didattici semestrali con sedici materie obbligatorie (otto base ed otto professionalizzanti) e tre opzionali, un tirocinio di almeno 500 ore ed una frequenza obbligatoria per 2/3 dell’orario e il rilascio del diploma abilitante dopo la trattazione di un tema scelto dallo studente. Il successivo ingresso dell’educatore nel circuito della formazione universitaria ha avuto avvio attraverso una serie di provvedimenti legislativi.


La L. 341/90 "Riforma degli ordinamenti didattici universitari" sancisce la soppressione delle scuole a fini speciali prevedendo la loro riconversione in corsi di diploma universitario.

Il DU trova anche sostegno in alcune leggi che prevedono tale formazione per le figure professionali di livello intermedio del settore socio-educativo e sanitario e nel D.lgs 115/92 di attuazione della direttiva CEE 89/48 riguardante il riconoscimento in Italia dei titoli formativi professionali acquisiti negli altri Stati della Comunità Economica Europea.

Quindi questo decreto permette all'educatore il passaggio a corsi di laurea affini con il riconoscimento parziale o totale degli studi compiuti.

Con D.lgs dell'11 febbraio 1991 "Modificazioni dell’ordinamento didattico universitario relativamente al corso di Laurea in Scienze dell’Educazione (ex Pedagogia)", alcune Università hanno dato vita al corso di Laurea in Educatore Extra-scolastico.

Il nuovo percorso formativo per educatore Extra-scolastico si differenzia da quello sperimentato dalle scuole per educatori professionali, soprattutto per ciò che attiene le materie professionalizzanti e l’esperienza di tirocinio all’interno dei servizi alla persona.

La collocazione della formazione dell’educatore professionale nei percorsi universitari ha però suscitato numerosi interrogativi.

Si è temuto, in primo luogo, che andasse disperso il patrimonio di esperienze maturato dalle scuole gestite dalle Regioni, ASL, istituti privati.

Il mondo della formazione professionale ha infatti svolto in questi anni un lavoro di preparazione degli educatori di alto livello, connotandosi per la strutturazione di corsi triennali di natura teorico-pratica. Il piano di studi universitario si è differenziato invece, da sempre, da quello delle scuole per educatori soprattutto per ciò che riguarda il tirocinio e le discipline .

La figura di operatore a cui ha rimandato questo tipo di formazione è quella di un professionista "denso" di teoria ma carente nelle competenze professionali. In secondo luogo il rischio di chi ha conseguito questa laurea è quello di vederne fortemente limitata la spendibilità sul mercato del lavoro, in quanto non abilitante all'esercizio della professione nella sanità, area questa in continua espansione per quanto riguarda la richiesta di educatori.

La scelta universitaria ha però tra i suoi vantaggi l’attribuzione di un valore legale abilitante al titolo stesso.

Il sistema scolastico italiano non prevede infatti altra formazione secondaria riconosciuta se non quella universitaria.

Lo scenario formativo degli anni novanta viene reso ancor più complesso ed articolato dalla costituzione del diploma universitario per "Tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale", successivamente soppresso con D.lgs 29 marzo 2001 n.182 a favore del "Tecnico della riabilitazione psichiatrica", definito come "l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge, nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'equipe multidisciplinare, interventi riabilitativi ed educativi sui soggetti con disabilita' psichica" ; figura questa considerata nella sanità equipollente a quella di educatore professionale.

2.3 Oggi: nuove prospettive di riconoscimento per l'educatore professionale
Il nuovo millennio si apre con l’emanazione del Decreto del Ministero della Sanità n.520/98 che individua la figura dell’educatore professionale definendone il profilo, attraverso il possesso del diploma universitario abilitante per l’esercizio della professione.

Per la prima volta siamo in presenza di un profilo unico definito su tutto il territorio nazionale che individua l'educatore professionale come "l'operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi , nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un' équipe multidisciplinare, volti ad uno sviluppo equilibrato di una personalità con obiettivi educativo relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà".

Il Decreto inoltre stabilisce che la formazione dell'educatore professionale avviene "presso le strutture sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici individuate nei protocolli d'intesa fra le regioni e le Università. Le Università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di Medicina e chirurgia in collegamento con le Facoltà di Psicologia, Sociologia e Scienza dell'educazione". Ha inizio il progressivo passaggio di competenza, per ciò che concerne la formazione dell’educatore professionale, dal mondo della formazione professionale a quello universitario.

Un altro elemento importante è costituito dalla L. 42/99 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie" in cui sono definiti i criteri necessari per il riconoscimento dei titoli ottenuti prima dell'emanazione del Decreto legislativo 520/ 98, prevedendo anche la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame finale.

Il 2 aprile 2001, al termine di una trattativa durata mesi tra l' A.N.E.P. e i Ministeri della Sanità e dell'Università, vengono firmati i decreti che istituiscono le classi di laurea di professione sanitaria, tra cui quella dell'educatore professionale, inserita nell'area della riabilitazione.

Gli aspetti caratteristici del provvedimento sono:

E' necessario il concorso di diverse facoltà per la formazione dell'educatore professionale, tra cui quella di Medicina e Chirurgia;

La tabella degli ordinamenti didattici prevede 180 crediti distribuiti sia in attività formative di base, sia in quelle integrative;

La formazione potrà avere luogo anche nelle strutture del SSN e prevede il tirocinio professionale;


 
Nuove possibilità di inserimento di esperti delle professioni nel curriculum formativo delle classi di laurea e nella commissione della prova finale del corso.

Nell'anno accademico 2001/2002 gli atenei avranno a disposizione due classi di laurea per educatori professionali : una definita nella classe XVIII di Scienze dell'educazione, che deriva dal vecchio corso di laurea in Pedagogia e l'altra nella classe delle professioni sanitarie nell'aria della riabilitazione, inserita presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

La riforma degli ordinamenti didattici universitari rafforza la distinzione tra educatori professionali impegnati nell’area sanitaria e quelli dell’area sociale. La formazione diversificata tra sociale e sanitario comporta almeno due nodi problematici: la previsione di due percorsi formativi non equiparabili (classe delle scienze dell’educazione e classe delle professioni sanitarie della riabilitazione), con il mantenimento di due profili professionali sostanzialmente uguali ma giuridicamente distinti.

A tal proposito l’A.N.E.P. ha espresso in un documento programmatico nazionale la necessità di istituire "un'unica figura di educatore debitamente formato mediante un unico e definito processo formativo di base che, evitando disomogeneità di contenuti e di indirizzi, permetta il suo efficace inserimento e favorisca le sue capacità ad operare in contesti ed ambiti diversi tra loro per utenza, per tipo di intervento e per organizzazione".

Si riscontra la necessità di costituire un unico e definito processo formativo, attraverso il concorso di più facoltà, per creare una figura in grado di rispondere alle molteplici, complesse e mutevoli esigenze del sistema sociale. In tale percorso sarebbe necessaria l'articolazione di almeno tre ambiti formativi: teorico-culturale-personale, per fornire un corpo integrato di conoscenze e competenze; metodologico , per fornire competenze e metodi, attraverso anche attività di sperimentazione; pratico-esperienziale, in grado di coniugare teoria e pratica, con l'importante esperienza di tirocinio.

La distinzione infatti del profilo professionale tra sanitario e sociale, non solo non corrisponde alle logiche del nuovo sistema di integrazione sociosanitaria, ma non contribuisce alla ufficializzazione della professione ed all’individuazione chiara dei percorsi di formazione.


2.5 Il futuro: le nuove disposizioni riguardanti l'Interfacoltà
Per intraprendere la professione di educatore professionale è necessario conseguire la laurea triennale Interfacoltà in Educazione professionale che abilita alla professione nei settori sanitario e sociosanitario.
L’accesso al corso di studi è programmato: bisogna essere in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado e superare un test di ammissione, comune a tutti i corsi di laurea appartenenti alla Classe L/SNT02 – Lauree delle professioni sanitarie della riabilitazione 9 e stabilita annualmente dal MIUR (Ministero dell'Istruzione, dell' Università e della Ricerca) con una serie di domande volte a valutare le capacità logiche e d'interpretazione dei testi dei candidati, nonché le conoscenze alcune discipline quali cultura generale, biologia, chimica, fisica e matematica.

Nei tre anni è previsto un periodo di tirocinio obbligatorio, che rappresenta una parte fondamentale del percorso formativo dello studente e ha come obiettivo l’acquisizione delle competenze professionali.

Il corso è attivato presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, in collaborazione con le facoltà di Scienze della Formazione e Psicologia.

L'apertura del nuovo anno accademico 2011-2012 porterà con sé una serie di novità riguardanti il futuro dell'educatore professionale e la sua formazione. Il Corso Interfacoltà in Educazione professionale dovrà adeguarsi, al pari di altri indirizzi delle professioni sanitarie, alle nuove disposizioni del Decreto ministeriale 270/04 modificando la propria offerta formativa secondo le nuove linee direttive stabilite per le professioni sanitarie triennali.


 

 
Con questo provvedimento si perde definitivamente il regime di Interfacoltà del corso introdotto in origine dal Decreto del Ministero della Sanità 520 /98: dal punto di vista formale, infatti, non è più prevista la compartecipazione al Corso di diverse Facoltà (Scienze della formazione o Scienze dell'educazione e Psicologia), condizione da sempre ritenuta fondamentale e fondante per la preparazione dell’educatore professionale. Questo significa che l’intero iter formativo dell’educatore dipenderà dalla sola Facoltà di Medicina e Chirurgia, senza il concorso, appunto, di altre Facoltà, come stabilito precedentemente.

Tuttavia, la direzione del Corso è riuscita a mantenere in sostanza lo stesso assetto didattico e la stessa impostazione organizzativa, preservando così la componente pedagogica-relazionale e continuando a incentivare un tipo di formazione multidisciplinare, caratteristiche entrambi essenziali per la professione. Anche se non saranno più titolari del Corso, come in precedenza, le Facoltà di Scienze della Formazione e di Psicologia si sono impegnate a collaborare e a mettere a disposizione i loro docenti. La stessa Facoltà di Medicina e Chirurgia ha introdotto tra i requisiti indispensabili per l’attivazione del Corso la partecipazione di altre Facoltà, a sottolineare proprio l'importanza della coesistenza di diversi saperi per una formazione adeguata e completa che tocchi i diversi ambiti di esperienza nel quale è inserito l'educatore.

L'importanza di questo concetto viene anche ribadita nell'articolo di Angelo Nuzzi "Il cantiere formazione" di Animazione Sociale, secondo il quale:

"per la formazione dell’Educatore professionale, nel DM 520/98 e nel DM 3-04-2001 appare una specifica rilevante e obbligatoria: il concorso di più Facoltà. Questa condizione è legata al riconoscimento dell’Educatore professionale come figura sociale e sanitaria, attento nell’approccio alle persone in condizione di "fragilità", alla dimensione della globalità e della specificità della relazione educativa, come strumento principe del proprio operare, oltre che all’azione socio-educativa che caratterizza l’intervento professionale nelle strutture sociosanitarie, riabilitative, educative e nel territorio".

Tornando all'organizzazione del Corso la multidisciplinarità permarrà, ma la dicitura "Interfacoltà" scomparirà dalla denominazione del Corso per Educatori professionali e questo muterà sicuramente la formazione degli educatori professionali in molte regioni d’Italia.

Per quanto riguarda la realtà del Corso in Educazione professionale dell’Università di Torino il nuovo Piano di Studi conserva l’impianto culturale degli anni precedenti introducendo alcune novità:

l’inserimento di alcune discipline di carattere sanitario (anatomia umana, farmacologia, diagnostica per immagini e radioterapia), rese obbligatorie dalle nuove direttive.

l’implementazione delle ore e dei crediti (ben 60 sui 180 complessivi) riservati al tirocinio, elemento questo da considerarsi in maniera positiva.

L’impianto teorico viene ridotto a favore del tirocinio, ma non in modo così sostanziale: il rapporto CFU/ore di lezione in aula, infatti, passa dalle attuali 6 ore per CFU a 10 ore per CFU; il monte ore complessivo di studio dello studente diventa, pertanto, più consistente e l’impegno necessariamente maggiore.

E' da precisare che il nuovo ordinamento entrerà in vigore gradualmente, un anno alla volta; quindi, nell’anno accademico 2011/12 il nuovo piano di studi verrà attivato solo nel 1° anno del Corso, mentre nei restanti due anni rimarrà in vigore il piano di studi precedente.

Inoltre è necessario rivolgere attenzione alla grossa parte che ancora rimane, di operatori impiegati in strutture sanitarie senza titolo abilitante, che si vedono costretti ad intraprendere in autonomia, senza tutele e supporti istituzionali e spesso a seguito di pressioni dei datori di lavoro, la strada verso la riqualificazione della professione resa possibile solo dall’iscrizione regolare al Corso in educazione professionale.

Queste nuove disposizioni porteranno ad un impoverimento notevole dell'area educativo-pedagogico-relazionale nella formazione dell'educatore a favore di quella sanitaria-medica che trova terreno fertile nella collocazione esclusiva del Corso sotto la Facoltà di Medicina e Chirurgia.


Molte associazioni di categoria (tra cui l'ANEP) si sono mosse per contrastare l'inserimento nel comparto medico dell'educatore proprio per il rischio che questa professione indebolisca le sue principali competenze di base, quali quelle educative-relazionali-pedagogiche, e limiti il proprio spazio d'azione a favore di un irrigidimento in senso medicalizzante.

La riflessione rimanda quindi a chiedersi quale tipo di educatore si intende formare e quale tipo di professionalità deve essere acquisita dai professionisti del settore educativo.

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