giovedì 15 marzo 2012

Incubi tecnologici.

di Igor Salomone

“Ah, non so, io con la tecnologia non mi ci trovo”. Già sentita? Innumerevoli volte, direi. Nel mondo degli educatori praticamente è uno standard. Dunque non mi sarei neppure dovuto stupire più di tanto nel sentirla ripetere di nuovo. Era la pausa caffè di un laboratorio. Tutti ammassati attorno al buffet con bicchierino in mano colmo e caldo e un biscotto tra le dita e le labbra. Come da manuale del buon formatore mi sono assicurato che i corsisti se la sapessero cavare on lo spuntino autogestito, in particolare con il caffè da prepararsi a mezzo cialda nell’apposita macchinetta. “Ah, non so, io con la teconologia non mi ci trovo”, era riferito alla Lavazza per l’espresso fai-da-te. La “tecnologia”….? La TECNOLOGIA…? La macchinetta espresso per il caffè in cialde sarebbe una tecnologia che ah-non-so-non-mi-ci-trovo…?
Non può essere, evidentemente. Posso capire mia suocera, forse, ma una ragazza di venticinque anni? No, non può essere. Per esempio, peccato non glielo abbia chiesto, ma ce l’avrà la patente? Immagino di sì. E allora non quadra, perchè per quanto possa guidare un’auto di vecchia data, quell’auto è per forza mooooolto più “tecnologica” di una macchinetta per il caffè a cialde. Dunque? Dunque la sua affermazione non può essere presa in senso letterale. Piuttosto direi che assomiglia di più a una posa. Molto diffusa nelle lande italiche e, in particolar modo, tra gli educatori.
C’è qualcosa di sottilmente autocompiacente nel definirsi poco o per nulla “tecnologici”. Come dire, sono mode che non mi interessano. Anzi, non mi piacciono proprio. Anzi, nutro una certa ostilità in proposito perchè non le trovo giuste, sinanco pericolose.
Insomma, il mondo sta trasformandosi in modo radicale e inedito sotto i nostri piedi. Davvero possiamo fare spallucce dicendoci che le cose importanti sono altre? E quali, di grazia? Insomma, si può ben aspirare all’eremitaggio, alla vita campestre e comunitaria dimentica del mondo circostante, a un dimensione dell’esistenza racchiusa nel piccolo confine delle persone che si incontrano faccia a faccia e delle cose che si possono toccare con mano, possibilmente “naturali” e prodotte da sè o al massimo nel giro di qualche chilometro da casa nostra. Non è obbligatorio, certo, cavalcare i cambiamenti repentini e profondi, neanche cercare di capirli, si può trattenersi ai margini delle trasformazioni, non averne neppure il più vago sentore e, se è il caso, evitare consapevolmente di accorgersene. I modi del vivere sono mille e ognuno può tentare di scegliere quello che più lo rende felice, o per lo meno che lo fa star bene, o insomma che non lo mette a disagio, anzi, che dal disagio lo tiene lontano.
Ma allora perché fare l’educatore? Davvero ha un qualche senso occuparsi dell’aiutare il prossimo a districarsi nelle enormi difficoltà che il vivere contemporaneo propone a ogni angolo, evitando in prima persona il 99% di quelle difficoltà? Non credo. Qui non è questione di “essere” su Facebook o di utilizzare quotidianamente Internet. E’ questione di essere nel mondo, in questo mondo, e accettarne le sfide. E quella della profonda trasformazione della vita di ognuno prodotta dalla tecnolgia digitale è in questo momento una delle sfide fondamentali. Chiamarsene fuori significa rinunciare a ogni credibilità.

lunedì 12 marzo 2012

Tesi di Elisa Casetta -Conclusioni-

Eccoci al termine di questo splendido percorso, in cui Elisa Casetta, con la sua tesi, ci ha permesso di approfondire chi sia, e che cosa cosa significhi fare l'Educatore Professionale.
Vogliamo rivolgerle, da parte di tutta la redazione di Educatori in (educ)azione, un sentito grazie, innanzitutto per la disponibilità con cui ha accolto la nostra proposta di pubblicare la sua tesi, e poi per la professionalità con cui ha trattato un tema che ci riguarda in prima persona: quello della nostra professione. Grazie Elisa, sei stata una preziosa fonte di informazioni, e di spunti di riflessione.
Augurandoci altre pubblicazioni di questo spessore, vi invitiamo a leggere le conclusioni del suo lavoro, e a continuare a seguirci, perchè ciò che vi aspetta non mancherà di interessarvi.


CONCLUSIONI

A conclusione di questo viaggio in cui abbiamo esplorato la figura dell'educatore nella sua totalità e in tutti i suoi ambiti, si può delineare un epilogo provvisorio della situazione presa in esame.

Come già ribadito, la figura dell'educatore è, al momento attuale, al centro di dibattiti, discussioni e tentativi di formalizzazione controversi e di difficile definizione. Tale difficoltà attraversa interamente la figura dell'educatore, toccando gli ambiti della formazione, della definizione di un profilo, di un'identità comune, di una professionalità consolidata, e della vita lavorativa in generale.

L'educazione è perno attorno al quale ruota ogni argomento degno di nota sociale, etica, politica. È una parola vitale, che in questo periodo viene sempre più evitata e drammatizzata.

L'educazione ha a che fare con i bisogni primari e vitali di tutti, non è una risorsa opzionale e facoltativa, ma una necessità primaria.

Questa parola, anche se, mai come in questo periodo storico si nota, viene ignorata, trascurata o evitata, fa parte di noi, della nostra vita, dell'esperienza di ognuno. "Noi siamo l'educazione che abbiamo ricevuto, evitato o cercato, siamo l'educazione che abbiamo saputo dare agli altri, consapevolmente o meno, siamo l'educazione inconsciamente assorbita attraverso i modi più disparati, attraverso i quali ci hanno allevato, amato o trascurato, incoraggiato o avvilito".

Tutte le professioni sociali sono in tensione e messe in discussione dall'attuale clima politico e sociale, che spesso emargina invece di integrare.

Tutte si interrogano sulla loro funzione a sostegno dei cittadini nel proseguire la loro autonomia possibile. Per gli educatori professionali la tensione si manifesta con intensità particolare, in quanto percepiscono il rischio di evanescenza del loro ruolo tra le professioni sociali.

Come ri-dare solidità a tale ruolo per non rischiare che questo si riduca a semplice erogazione di prestazioni, compiti di assistenza e si rielabori una logica educativa, propria di tale professione?

La crisi attuale appare con evidenza nella sua dimensione economica e ne avvertiamo, fin troppo bene, gli effetti nella vita quotidiana. Gli effetti della crisi sono tangibili e riscontrabili per esempio nel fenomeno della disoccupazione e di un senso generale di incertezza verso il futuro; meno evidenti, invece, sono gli effetti della crisi sui cardini della struttura sociale, in particolare su ciò che tiene insieme una comunità e i servizi di cura: sanità, assistenza ed educazione.

Sotto i drammatici fenomeni legati all'impoverimento economico e culturale, avvengono spostamenti assai meno visibili che finiscono per investire le modalità tradizionali e istituzionali della cura e in particolare del fare educazione, e mettono in discussione il riconoscimento sociale di chi lavora in questo campo.

Importanti questioni sono state analizzate nel corso dei precedenti capitoli: Come è cambiato il profilo professionale dell'educatore?


Qual è oggi il nucleo irriducibile del suo lavoro?

Perchè la figura dell'educatore rimane relegata ai margini delle politiche sociali e dei servizi e non vi è un riconoscimento adeguato del suo operato e della sua professionalità?

All'operatore sembra essere richiesto un intervento che supera o restringe la sua identità professionale. Che sia per sovrapposizione, nel momento in cui avverte la necessità di prestazioni supplementari, rispetto a quella educativa, o piuttosto per erosione, che riduce l'educativo ad altro, ad assistenzialismo, controllo o semplice aiuto, i confini professionali sono posti in discussione. In più, si assiste al fatto che la professione educativa entra in competizione con altri professionisti o giunge a confondersi con chi semplicemente si occupa di assistenza.

Oggi l'educatore si trova spesso a doversi chiedere: "Che ci faccio io qui?", e come l'educatore lo fa l'intero gruppo di lavoro, in quanto è sempre più evidente che manchi un senso di appartenenza comune al mondo della cooperativa sociale, di cui tutti i servizi oggi fanno parte.

L' adesione ad una cooperativa, vent'anni fa era basata su un consenso ideologico e politico, mentre ora sono necessari titolo di studio e certificazione delle competenze.



Tuttociò ha portato a creare un sistema di lavoro piu rigoroso e disciplinato, ma anche fatto pagare un prezzo di un minor entusiasmo e passione: sembra venir meno l'idea di un gruppo che lavora insieme per lo stesso obiettivo e si ha la percezione di lavorare su binari già tracciati.

Sembra non esserci più un obiettivo comune di "cambiamento" semmai "miglioramento continuo", come insegnano le procedure di certificazione della qualità, che chiedono di dare evidenza oggettiva ad ogni processo lavorativo e lo sottopongono a continue verifiche per cercare appunto, un miglioramento.

Prima la percezione era quella di lavorare in fede ad un ideale, per inseguire uno scopo, una missione; ora l'idea è quella di lavorare per necessità, inseguendo tabelle orarie e restando fedeli solo al mercato del lavoro. Giostrare tutti gli educatori possibili su vari fronti è ormai diventata una realtà quotidiana che rende nettamente più difficile fermarsi a riflettere su ciò che si fà, importante competenza che dà sempre caratterizza le professioni sociali, in particolare quella dell'educatore.

Alla progressiva riduzione dei fondi e la scarsa capacità di creare politiche sociali adeguate, si accompagna una spinta alla formalizzazione che burocratizza all'estremo l'evento educativo: cerificazioni, accreditamenti, relazioni, progetti e mandati sempre più specifici ma spesso incomprensibili; tutto ciò sottopone l'educatore a un toure de force di adempimenti, che trasforma il lavoro educativo a puro prestiazionismo, rimandando alla riflessione su che cosa si intende per educazione e che tipo di educatore si vuole formare.

L'educatore stretto tra la quotidianità e le incombenze formali, tra la relazione con gli utenti e le procedure necessarie per far funzionare un servizio, rischia di non potersi occupare di ciò che rende il suo lavoro differente da quello di altri professionisti. "Rischia cioè di perdere di vista il suo principale obiettivo: lavorare per rendere possibile che qualcun altro, sperimenti l'apertura di un tempo e di uno spazio speciale, di separazione e sospensione della loro quotidianità, spesso non positiva".



La possibilità di riflessione, però, non si dà facilmente nel contesto odierno, sempre più povero di luoghi di riflessione e di supervisione anche nei servizi; quindi al nostro educatore spesso non resta che agire inventando nuove proposte di attività, che prendono spunto, per esempio, dalle sue passioni (ad es.: cucinare, andare a cavallo ecc.), come farebbe un qualsiasi adulto senza bisogno di non essere un professionista (genitore, volontario ecc.).

Quando succede questo la confusione che si genera crea un alone di invisbilità intorno alla figura dell'educatore, e apre lo spazio per una nuova domanda: "E' proprio vero che tutti possono fare gli educatori?" .

Siamo tutti d'accordo sul dire ciò che l'educatore non è (non è uno psicologo, non è un assistente sociale ecc.), piuttosto che dire cosa sia in senso positivo. "Che lavoro fai?" diventa una domanda insostenibile, alla quale l'educatore spesso non sa come rispondere e si trova in difficoltà nello spiegare quello che concretamente fà nella pratica lavorativa.

L'educatore trova la sua professionalità se entra in relazione con l'altro, cosa che però possono fare anche altri professionisti, come lo psicologo o il medico. Se è vero che tutti possono costruire relazioni e alcuni lo possono fare in modo professionale e terapeutico, che tipo di relazione è quella educativa?

Dunque, l'educatore potrebbe trovare la sua professionalità nel "fare", un "fare intenzionale", inteso come il guidare un'azione formativa ed esserne responsabili. Tuttavia ciò non distingue il fare dell'educutaore dal fare di un politico o di un assistente sociale.

Ancora, la specificità dell'educatore potrebbe essere il cercare di essere promotore di un cambiamento, ma il cambiamento può essere promosso da chi si trova ad educare perchè semplicemente genitore o insegnante.

Sembra essere un'opinione diffusa allora quella che tutti possano fare gli educatori, e spesso gli educatori stessi in assenza di risposte soddisfacenti, spostano l'attenzione sul versante della specializzazione.

La specializzazione è certamente utile e necessaria per lo sviluppo professionale, ma non può definire la scorciatoia per definire il lavoro educativo.



L'educatore, nella sua storia professionale, è riuscito a costruire una professionalità capace di operare in molteplici luoghi, a mobilitare energie educative-naturali, come le famiglie, le reti informali, allargando il modo della vita del disabile e rendendo lettera viva ai loro progetti e agli eventi educativi; a creare situazioni residenziali per persone psichiatriche, costruendo condizioni in cui la vivibilità è responsabilità diffusa del quartiere; ad animare i condomini e a farsi carico dei vicini di casa, di modo che le persone anziane si sentano più sicure se a casa sole; sono riusciti fare sognare migliaia di giovani, mettendo a disposizione luoghi da trasformare in imprese proprie e quanto serve per sentire di avere un progetto di vita tra le mani, a ridare il piacere di pensare ad un futuro per questi ragazzi, fornendo spazi per pensare, divertirsi, confrontarsi.

Sono riusciti insomma, a costruire cantucci di polis in cui è più piacevole vivere, crescere ed amare..

Allora, forse non è così vero che tutti possono fare l'educatore, ma sembra più facile lasciare nell'invisibilità il suo operato e nell'ombra la questione della professionalità: gli effetti dell'impegno educativo non sono tangibili, almeno non sempre e non subito; non si può misurare, quindi quantificare o qualificare il prodotto dell'agire professionale. Qui entra in gioco la questione della documentazione, come momento da privilegiare per raccontare, fare vedere ciò che si fa. È nella documentazione che è possibile pensare, conservare e trasmettere come tesoro agli altri, l'agire pedagogico.

Un altro punto in questione è quello dell'avvicinamento del lavoro educativo sempre più vicino e simile a quello assistenziale.

Ovvio che, l'assistenza, nel senso del prendersi cura ha a che fare da sempre con l'educazione, che sta alla base della società.

Oggi l'assistenziale appartiene a tutte le procedure in campo sociale e si annida negli interventi socio-sanitari e socio-educativi e ogni sua azione viene classificata in base al bisogno della persona e quindi al raggiungimento di un obiettivo quantificabile. Da qui il lavoro educativo spesso diviene semplicemente un lavoro di assistenza, di controllo delle qualità, di custodia, eliminando ogni possibilità alternativa.




"È vero che gli educatori, da decenni, attendevano un'adeguata formalizzazione della loro professione, ma ciò non toglie che il prezzo che stanno pagando per vedersi riconosciuti rischia di ammontare all'estinzione".

Il DM 520/98, così come il decreto interministeriale del 2 Aprile 2001, hanno contribuito sì alla formalizzazione e riconoscimento dell'educatore professionale, ma solo nel comparto sanitario, lasciando fortemente in disparte la figura sociale-educativa di questa professione.

In tal modo è avvenuto il passaggio dell'educatore da professionista "anfibio", ovvero capace di prestare la propria opera sia nel settore socio-assistenziale sia nel sanitario, a favore di un operatore riconosciuto formalmente solo nel sanitario. Questo sradica profondamente una delle principali competenze e caratteristiche dell'educatore, che si ritrova impreparato a lavorare nel sociale, a fare opera di prevenzione e sostegno e non solo di cura ed assistenza.

Tuttavia, le altre figure professionali posseggono almeno qualche certezza a cui ricorrere nei momenti di difficoltà: l'albo professionale.

Nella ricerca condotta sulla figura dell'educatore, molti hanno individuato come mezzo per avere un maggior riconoscimento e professionalità la costituzione di un albo professionale, come atto che già di per sé sancisce la nascita di una professione.

Le ipotesi su cui si è basata la ricerca, vengono confermate in quanto

la maggior parte degli educatori ha riscontrato il problema del riconoscimento come punto debole della professione, e insieme, aggiunto che l'educatore stesso ha difficoltà a parlare di sé e questo crea grosse difficoltà a livello identitario. La dimensione identitaria di una professione costituisce qualcosa di fondamentale, che porta la persona a riconoscersi in quello che è professionalmente. Forse nella professione dell'educatore manca proprio questo sentirsi parte di un tutto.

È tempo di uscire dall'improvvisazione, che ha caratterizzato l'educatore negli anni passati, per costruire una professione scientificamente fondata, basata in particolar modo sulla progettazione educativa e sulla competenza pedagogica.

Essere dotati di metodo e rigorosità scientifica, non significa escludere il lato umano e il carico emotivo che porta sempre con sé questa professione, ma anzi significa recuperare queste caratteristiche per poterle affrontare al meglio.

È importante riaffermare con forza che l'esperienza educativa si distingue da qualsiasi altra esperienza, se pur ricca e significativa della vita; essa è un'esperienza indispensabile e protetta, che l'educatore, confrontandosi in équipe, progetta, allestisce e valuta, non solo come responsabile ma anche come regista. Ma questo non basta: "è necessario creare una cultura che non sia solo genericamente educativa, ma che dimostri nella teoria e nella pratica il valore e le peculiarità dei saperi pedagogici. Ciò è possibile sono facendo ricerca e, in particolare, tenendo insieme l'educazione fatta sul campo con quella scritta sui libri".

Se l'educatore non intende incorrere nel rischio di venire travolto da un rapido processo di obsolescenza delle competenze o della professione stessa, dev'essere in grado di adoperarsi in primo luogo per promuovere ricerca e integrarla nella quotidianità del suo lavoro, e sia lui stesso promotore di cambiamento sociale e culturale.

Importante, inoltre, è documentare la perizia educativa sul campo, bisogna depositare le azioni in vista di un'autentica, seppur critica e problematica, scientificità pedagogica; mirare ad una formazione attenta e permanente, per garantire sempre la conoscenza dei contesti in cui si lavora, la flessibilità e l'apertura al cambiamento e a possibili nuovi scenari; infine, costruire una logica del servizio, insieme al progetto esistenziale del soggetto, per far sì che il servizio non sia solo luogo di assistenza e cura, ma anche teatro delle sue possibilità.

sabato 10 marzo 2012

"Quasi amici"

Invito tutti a guardare questo film, che apre le porte a riflessioni che vanno oltre il nostro tradizionale e inadeguato modo di pensare e trattare disabilità.


SCHEDA FILM

Trama:
Quasi amici, ispirato ad una storia vera, racconta l'incontro tra due mondi apparentemente lontani. Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso paraplegico, il ricco aristocratico Philippe assume Driss, ragazzo di periferia appena uscito dalla prigione, come badante personale. Per dirla senza troppi giri di parole, la persona meno adatta per questo incarico. L'improbabile connubio genera altrettanto improbabili incontri tra Vivaldi e gli Earth, Wind and Fire, dizione perfetta e slang di strada, completi eleganti e tute da ginnastica.

FOTOGRAFIA: Mathieu Vadepied
MONTAGGIO: Dorian Rigal-Ansous
MUSICHE: Ludovico Einaudi
PRODUZIONE: Quad Productions, Chaocorp, Gaumont
DISTRIBUZIONE: Medusa Film
PAESE: Francia 2012
DURATA: 112 Min
FORMATO: Colore 1.85 : 1


CRITICA:

Il pubblico ha bisogno di storie, possibilmente semplici, capaci di toccare quelle corde emotive che se pizzicate suscitino le due reazioni più genuine che dall'infanzia alla terza età scortano la vita di ogni essere umano: la risata e il pianto. I registi e sceneggiatori Eric Toledano e Olivier Nakache riescono ad equilibrare entrambe le cose portando al cinema un pezzo di vita vera: l'adattamento che ne fanno è un encomiabile lavoro di scrittura che oscilla tra divertimento e commozione. (Antonio Bracco)


NOTE:

Record di apertura boxoffice in Francia con più di 2 milioni di presenze in cinque giorni.

lunedì 5 marzo 2012

Tesi di Elisa Casetta (Capitolo 4 -seconda parte-): La micro-ricerca: le risposte degli educatori.

Avviandoci verso la conclusione di questa interessante dissertazione, ecco a voi la seconda parte del capitolo 4.L'appuntamento è per lunedì prossimo, per la parte conclusiva della tesi!

La micro-ricerca: le risposte degli educatori

In questa seconda parte del capitolo si ripercoreranno le fasi operative della ricerca e come il ricercatore si è mosso per effettuare il suo lavoro.

Si analizzeranno quindi:

gli obiettivi, e le ipotesi che ha seguito la ricerca;

la stesura della traccia del questionario;

la scelta del campione e la distribuzione dei questionari;

l'analisi e l'interpretazione dei questionari.

4.3 Obiettivi ed ipotesi della ricerca:

La ricerca condotta ha come obiettivo quello di indagare la professione dell'educatore professionale, attraverso l'esperienza degli stessi.

La ricerca assume caratteristiche di tipo esplorative nel tentativo di far emergere le opinioni degli educatori sul loro ruolo e sulla loro percezione professionale all'interno del contesto socio-culturale attuale in cui operano. Si è prediletto per questo un approccio di tipo qualitativo, solitamente tipico della ricerca idiografica in cui si "mira a far luce su una data situazione educativa, spazialmente, temporalmente e culturalmente situata, allo scopo di avere una comprensione approfondita della situazione considerata nella sua unicità e specificità" .

La ricerca idiografica non mira a formulare leggi generali, ma piuttosto a conoscere le idee degli intervistati su una data situazione.

Le ipotesi che ha seguito la ricerca sono:

la figura dell'educatore non viene riconosciuta e occupa un posto marginale all'interno delle politiche sociali e delle organizzazioni dei servizi.

l'educatore professionale non si riconosce nel suo ruolo e non si adopera sufficientemente per attuare questo processo di riconoscimento e di presa coscienza dell'importanza della professione.



4.4 Stesura della traccia dei questionari

La stesura dei questionari è avvenuta in primo tempo, anticipando le domande tramite una lettera di presentazione in cui, oltre a presentarmi, ho esposto le finalità dell'indagine e le motivazioni che mi hanno spinto ad effettuare la ricerca, e ho richiesto agli educatori di esprimersi sull'argomento, in base alla loro formazione ed esperienza lavorativa.

Il questionario viene compilato in forma anonima, ma abbiamo ritenuto necessario inserire delle brevi domande di presentazione anche per gli educatori, quali:

età;

anni di esperienza;

titolo professionale;

lavoro attuale.

Questa suddivisione è doverosa al fine di avere una visione più globale delle opinioni degli educatori sull'argomento trattato, in modo da avere delle categorie di pensiero che si distinguono inevitabilmente in funzione all'età, all'esperienza e al tipo di formazione ricevuta dall'educatore.

Dopo la presentazione sono state proposte le domande proprie della ricerca, che mirano all'esplorazione della figura dell'educatore. Ho scelto di proporre poche ed essenziali domande agli intervistati, proprio perchè volevo arrivare subito alla centralità dell'argomento, cioè il riconoscimento della figura professionale. Riporto qui le domande quel questionario:


Un' immagine della tua professione... (disegno,metafora, parola).

Punti di forza e punti di debolezza della pratica professionale dell'educatore.

In propsettiva...cosa bisognerebbe potenziare affinchè la professione possa essere maggiormente ricoosciuta?

C'è un' altra domanda a cui avresti voluto rispondere?


 

 
4.5 La scelta del campione e distribuzione dei questionari

Il campione è stato scelto in modo casuale, ma seguendo una linea guida in base alla suddivisione degli intervistati per :

Anni di esperienza ed età (giovani, fino a 5 anni di esperienza;

medi
, dai 5 ai 15 anni di esperienza; anziani, oltre a 15 anni di esperienza)

Rappresentatività dei percorsi formativi (possesso di titolo abilitante e non possesso di titolo abilitante).

Si è effettuata questa separazione per avere una visione d'insieme anche in base alle differenze di età e di percorso. In tutto sono stati distribuiti cinquantasette questionari, alcuni portati personalmente nei Servizi che conoscevo, sul posto di lavoro, a tirocinio o nei servizi in cui lavora qualche educatore che conosco; altri sono stati inviati per e-mail per la scarsità di tempo e l'impossibilità di raggiungere tutte le persone.

La distribuzione dei questionari è avvenuta nel giro di due giorni circa e la raccolta degli stessi era prevista entro una settimana. A due giorni dalla scandenza avevo cinque questionari e questo ha creato in me motivo di forte ansia, per cui ho cortesemente richiamato alcuni educatori per compilare il questionario. Non è stato difficile reperire gli educatori, più complicata invece, è stata la fase di raccolta dei questionari.

Questo può essere dato dal fatto che rispondere a delle domande sulla propria professione può essere un compito noioso, che occupa tempo, e spesso ci si dimentica del questionario mandato per mail, anche per la stessa difficoltà degli educatori a trovare del tempo libero da dedicare ad altro..ancor meno se per "altro" si intende scrivere della propria professione, dopo magari un turno pesantissimo ed estenuante!". Proprio per questo si è pensato di recapitare un numero elevato di questionari, per la consapevolezza che non tutti sarebbero tornati al ricercatore.

Dopo aver ritrattato una seconda scadenza, a tre giorni di distanza, abbiamo finalmente tra le mani trentasei questionari, che considero un numero sufficiente per indagare sull'argomento.


 

In base alla suddivisione sopra descritta, abbiamo:

N° 8 educatori giovani con titolo in Interfacoltà Educazione Professionale e n° 4 educatori giovani senza titolo abilitante, ma in formazione.

N° 12 educatori di media età con vari titoli tra Scienze dell'Educazione, Riqualifica in Interfacoltà Educazione Professionale e n° 4 educatori di media età senza alcun titolo abilitante.

N° 7 educatori anziani, con vari titolo tra Scienze dell'Educazione, F.I.R.A.S e Riqualifica in Interfacoltà in Educazione Professionale e n° 1 educatore anziano senza titolo abilitante.


4.6 L'analisi e l'interpretazione dei questionari

Dopo la raccolta e la lettura approfondita dei questionari si è proceduto alla loro codifica e interpretazione. Si è quindi analizzato per ogni domanda i punti in comune e la valorizzazione delle differenze, rilevate per ogni questionario, al fine di verificare le ipotesi della ricerca.

Si è costantemente perseguito l'obiettivo di manipolare il meno possibile il materiale a disposizione, facilitando la trasmissione dei significati espressi usando le stesse parole del narratore. Questa infatti, è la caratteristica peculiare del metodo narrativo. Si è intervenuti anche sull'ottimizzazione della punteggiatura e sulla correzione delle incongruenze grammaticali.



L'immagine dell'educatore professionale

Per rispondere alla prima domanda otto educatori hanno utilizzato un disegno, docidi una metafora, due hanno prediletto un metodo diverso, quale un film e una canzone e gli altri hanno preferito inserire solo una parola per decrivere la propria professione. Le idee comuni emerse nella maggior parte dei questionari alla domanda: "Un'immagine della tua professione.. (un disegno, una parola, una metafora..)", sono da una parte quella di accoglienza, sostegno, relazione, mediazione, crescita, cambiamento, intenzionalità, flessibilità e complessità e dall'altra quella di imprevedibilità, incertezza e insicurezza.

Otto persone hanno rappresentato la figura dell'educatore attraverso un disegno, tra cui ritroviamo l'immagine delle mani, di due figure che camminano insieme, un albero in crescita, una strada con ostacoli, una macchina inceppata, di cui riporto la spiegazione: "Dare una spinta per far ripartire una macchina inceppata, per poi lasciarla viaggiare autonomamente" e infine un aquilone: " Un aggeggio difficile da imparare ad usare, molte volte cade a terra e molte volte si rialza in volo..spesso, anche quando pensi di saperci fare, di essere un professionista è il vento a decidere la direzione dell'aquilone e la sua caduta.. Ci va allentamento e tanta forza di volontà!".

Altre due immagini curiose sono state riportate nei questionari, una rappresenta il "Cubo di rubik", e l'altra "Il gioco dell'impiccato".

Per il "Cubo di Rubik" una possibile interpretazione potrebbe essere quella delle infintite possibilità e strumenti che l'educatore ha a disposizione nel suo lavoro, della versatilità e flessibilità nel trovare risposte e soluzioni e della possibilità di cambiare e modificare un progetto, un percorso, quando necessario. "Il gioco dell'impiccato" consiste nell'indovinare la parola giusta usando un numero limitato di tentativi, prima che l'omino finisca impiccato; penso che questo disegno rimandi ad una riflessione più ampia sulla figura dell'educatore, inserito nel contesto socio-culturale in cui agisce e sulla precarietà che la professione sta vivendo in questo tempo.


 

La mancanza di fondi, la non tutela e i numerosi tagli da parte del sistema sociale contribuiscono alla svalutazione delle professioni che del sociale si occupano e questo riflette sulla scarsa motivazione e poca fiducia nel futuro degli operatori. Penso che metaforicamente si riferisca al fatto che se lo Stato continua a tagliare sul settore socio-sanitario, il cappio contiuerà a stringersi intorno al collo di professionisti e utenti.

Dodici educatori poi, hanno espresso la loro professione attraverso una metafora, di cui riporto le più significative:

"Una bilancia, alla ricerca costante di un equilibrio tra il micro e il macro, le dimensioni legate alla quotidinità e le dimensioni di scelte del welfare".

L'educatore è come un "operaio psichico.. un mediatore culturale tra i bisogni del paziente e il meccanismo istituzionale".

L'educatore è "colui che tenta di ricucire i nodi di una rete un pò usurata".

La mia professione.."un'onda leggera del mare, che lascia parte di sé sulla sabbia e porta con sé parte della sabbia" ; l'educatore nel suo lavoro mette parte della sua personalità e della sua interiorità a disposizione dell'Altro e accoglie l'interiorità dell'Altro e questo permette una scambio profondo, che inevitabilmente modifica entrambi.

"Fai agli altri ciò che vorresti gli altri facessero a te"

"Vedo la mia professione riflessa nel pensiero di Michelangelo sulla scultura: Michelangelo riteneva che la forma delle sue sculture fosse già presente all'interno del blocco di marmo e allo scultore rimaneva solo il compito di liberarla, eliminando la materia in eccesso".
Allo stesso modo questa professione tenta di liberare l'essenza, le capacità e le potenzialità insite e spesso latenti nei soggetti di cui si prende cura.

"L'arcobaleno, perchè mi sembra che ben rappresenti il cambiamento che è il motore del nostro agire professionale... per quanto può essere forte e lungo un temporale il sereno arriva!".

In particolare due educatori hanno privilegiato l'uso di altri strumenti per rappresentare la loro professione:

la canzone di G.Gaber "Non insegnate ai bambini", penso che questo significhi che l'educatore non deve diventare un sostituto di qualcuno o indicare "la retta via" e fare in modo che si persegua quella, ma dev'essere un sostenitore di un pezzo di strada, che cammina al fianco, nè davanti, nè dietro al soggetto di cui si prende carico. L'altro mezzo indicato è un film di Beeban Kidron "A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar". Dopo aver guardato il film penso che il senso del lavoro educativo sia collegato al concetto di diversità e cambiamento: accogliere ed accettare la diversità, di qualunque tipo essa sia, volgere uno sguardo completo, a 360 gradi, è il primo passo per attuare un processo di cambiamento, che può avvenire a tutti i livelli e in ogni situazione, con tutte le difficoltà che questo può comportare.

La prima domanda del questionario è stata formulata in questo modo perchè si voleva dare la possibilità di far rappresentare agli educatori la loro professione con un metodo diverso, simbolico e creativo, in modo da estrapolare un significato più profondo e differenziato.

È importante esplorare le immagini, le rappresentazioni che gli educatori danno di sè e quelle che gli altri (altri operatori, utenti...) hanno di loro, perchè l' immagine ha un impatto più immediato di molte parole e rimandano subito alla dimensione emozionale e profonda, aspetto fondante del lavoro educativo.

Visto che credo che il lavoro educativo sia anche inventiva e creatività, ho ritenuto necessario dedicare uno spazio che potesse accogliere queste forme.

4.6.2 Forza e debolezza dell'Educatore professionale

La seconda domanda: " Punti di forza e punti di debolezza della pratica professionale dell'educatore", è stata pensata per far individuare proprio agli educatori quali secondo loro sono gli aspetti positivi e negativi della professione, in riferimento all'auto-riconoscimento e al riconoscimento nei Servizi, come fase preliminare per poi cercare di comprendere quali possano essere i possibili punti da implementare per un maggior riconoscimento della stessa. Le risposte sono abbastanza omogenee ed uniformi.

Sia per i punti di forza che per i punti di debolezza, ho individuato risposte comuni principalmente in due ambiti della professione che classifico in ambito delle capacità personali/relazionali e in ambito delle competenze professionali.

PUNTI DI FORZA

Ambito delle capacità personali/relazionali :
essere una persona sensibile, creativa, espressiva, motivata, essere capaci di mettersi in gioco costantemente; capacità di avere un contatto diretto con l'utenza, capacità di vicinanza all'altro (accoglienza, ascolto, sostegno, empatia); usare come strumento privilegiato la relazione educativa.

Ambito delle competenze professionali:
essere mediatore tra l'utente e il contesto familiare e socio-culturale in cui è inserito, essere promotore di cultura e di giustizia sociale; avere una formazione multidisciplinare che permette di dialogare con diversi saperi e in diversi contesti; saper interagire in équipe, saper lavorare in rete e in diversi ambiti lavorativi; alimentare il proprio lavoro di intenzionalità educativa e di progettazione per permette all'educatore di tracciare linee guida per muoversi al meglio e non lasciare nulla al caso.

L' educatore quindi si costituisce come un professionista, dotato si specifiche competenze personali e metodologiche, che lavora a stretto contatto con le persone che si trovano in un momentaneo stato di difficoltà e costruisce con loro un progetto di vita.

Per fare ciò l'educatore ha bisogno di vari strumenti, prima di tutto della relazione educativa:

"Il più importante punto di forza dell'educatore è costituito dalla "meraviglia" della relazione con l'utente, dalla possibilità di lavorare sulla parte "sana" del soggetto per mirare ad un futuro migliore ed attuare un vero cambiamento".

"La vicinanza con l'utente permette di effettuare un lavoro più autentico, cogliendo maggiormente i bisogni e creando un rapporto di fiducia con esso".

" Come punti di forza individuo sicuramente l'ascolto, l'empatia e la voglia di aiutare l'altro, non in modo volontaristico, ma apportando professionalità al progetto di vita del soggetto per promuovere la sua autonomia".

Un' altra idea comune è quella di un educatore duttile, flessibile, in grado di mettersi in gioco e operare nella complessità :

"La capacità di abitare l'incertezza, di sostare nel dubbio, la capacità di valorizzare le risorse degli individui e mobilitare quelle dei contesti locali, la capacità di costruire reti all'interno del territorio e di districarsi nella complessità, di lavorare per progetti educativi dialogici, duttili e dinamici, di ricercare soluzioni a partire dall'anilisi congiunta dei meccanismi di protezione e di rischio (...)"
fanno dell'educatore un professionista a tutti gli effetti.

" L' E.P. ha una formazione che gli consente di analizzare le situazioni da vari punti di vista ed approcci teorici (psicologico-pedagogico-medico), e di giungere quindi a valutazioni approfondite (...). Inoltre , egli può operare in diversi settori del sociale e questo gli permette di indivuduare l'ambito che più si adatta alla sua personalità per sfruttare al meglio le sue potenzialità al servizio dell'altro e sentirsi soddisfatto".

PUNTI DI DEBOLEZZA

Ambito delle capacità personali/relazionali:
incapacità di mantenere la giusta distanza dall'utenza e incapacità di "staccare" dopo il lavoro; possibilità di fallimento del progetto educativo e di "sbagliare strada" ; "gli estremi tra il delirio di onnipotenza e la rassegnazione cronica"; incapacità di esprimere chi è l'educatore e poca propensione a diffondere la professione; incapacità di avere una coscienza collettiva.

Ambito delle competenze professionali
: incapacità di gestire il conflitto all'interno di un'équipe e incapacità di lavorare in rete; formazione inadeguata sia per la mancanza di una formazione unica a livello nazionale, che per quanto attiene alla debolezza pratica e tecnica; poca supervisione, importante per sostenere l'educatore e poca documentazione, importante per registrare e fare memoria di ciò che si fà; poca credibilità professionale nei confronti di altre professioni (assistente sociale, insegnante, NPI, infermiere ecc.); poche risorse e fondi a disposizione e debolezza politica; poca visibilità della professione e sostegno da parte delle istituzioni; non vi è un riconoscimento sociale della professione (mancanza di un profilo unico dell' E.P., mancanza di selezione di soli professionisti in ambito lavorativo); e non vi è nemmeno un riconscimento economico (molti educatori infatti lamentano di percepire una retribuzione inadeguata per le funzioni che svolgono e le responsabilità attribuite alla loro figura).

Come si può notare dalla suddivisione delle risposte il lavoro di rete e la gestione dell' équipe, risulta sia un punto di forza che un punto di debolezza nel lavoro educativo. Il lavoro dell'educatore è caratterizzato da uno stretto contatto con l'utenza, ma non solo, perchè l'educatore è quotidianamente a contatto anche con altri professionisti, siano essi appartenenti allo stesso gruppo di lavoro, che presenti sul territorio in altri servizi. Questo punto può essere considerato un punto di forza e insieme di debolezza perchè significa prestare attenzione alla globalità della persona e non solo ad aspetti settoriali di questa, e per avere uno sguardo globale è importante effettuare un buon lavoro di rete, che se viene a mancare ricade inevitabilmente sull'intero progetto.

Anche per quanto riguarda l'ambito delle debolezze ritengo opportuno individuare alcune frasi significative riportate dagli educatori, sempre cercando di mantenere la suddivisione tra l'ambito personale e quello delle competenze professionali.

"I punti di debolezza che mi preme elencare sono l'incapacità di riuscire a staccare dopo il turno, perchè spesso capita che si portino a casa le difficoltà quotidiane del nostro lavoro, insieme alll'incapacità di mantenere un distacco emotivo ed affettivo dall'utente, che se non controllato di certo non giova al nostro lavoro da una parte e all'autonomia del soggetto dall'altra".

Un ulteriore punto di debolezza comune riguarda il senso del fallimento: "Operiamo in un orizzonte non sempre ben chiaro: il rischio di fallimento delle aspettative e dei progetti mette a dura prova il lavoro dell'educatore e la sua efficacia nell'esercitare il proprio ruolo (..)".

Per quanto riguarda i punti di debolezza della professione dal secondo punto di vista, le idee frequenti rimandano alla mancanza di un'adeguata formazione, di un profilo unico per l'educatore professionale, allo scarso riconoscimento politico sociale ed economico e in generale alla criticità della situazione politica contemporanea.

"È possibile svolgere la professione, anche senza un percorso formativo adeguato e il possesso di un titolo specifico e questo ricade sulla qualità dell'offerta educativa e sulla possibilità di un adeguato riconoscimento della nostra professione... Un medico o un infermiere potrebbero svolgere la loro professione senza una formazione adeguata? (..) La mancanza voluta e non effettiva di fondi, di risorse e di politiche sociali poi, penalizzano il lavoro assistenziale ed educativo e non permettono ai professionisti di lavorare nelle migliori condizioni, per sé e per l'utente".


 

Questo è il concetto prevalentemente espresso dagli educatori riguardo il loro ruolo e il contesto sociale in cui si trovano ad operare, in cui interagiscono numerose variabili, dalla formazione inadeguata e un giusto riconoscimento, alla mancata erogazione da parte dello Stato di risorse sufficienti per operare in modo dignitosi, variabili queste, che di certo non giovano alla professione. Infine ci tengo a pubblicare la risposta a questa seconda domanda di un educatore, che tocca numerosi punti critici del panorama educativo e che apre ampi spazi di riflessione:

"A mio avviso si compenetra come punto di forza e punto di debolezza quello di essere...tutto e niente! Un pò psicologo, un pò pedagogo, un pò sociologo, un pò oss..ma niente di tutte queste cose. Mi pare che, non infrequentemente, venga indicato cosa l'educatore non può fare (ad es: questo contatto con i servizi sociali è compito del responsabile del servizio, la somministrazione dei farmaci è deputata agli oss ecc.), piuttosto di quello che può e deve fare. A volte sembra che la nostra professione sia riconducibile solamente a interventi di "buon senso", trascurando strategie e modalità, frutto di studio e di esperienza insieme alle motivazioni che hanno fatto di noi degli educatori. (...) Esiste poi, una "debolezza politica": la figura dell'educatore non ha certo la forza dell'assistente sociale o dell'infermiere; lo vediamo oggi in modo particolare nelle manifestazioni che difendono il Welfare: la figura dell'educatore è marginale! Dove sono gli educatori? L'A.N.E.P. a fronte di questa situazione politica, nel giro di diversi mesi ha raccolto la miseria di circa 300 firme! (...). Mi pare inoltre carente una "coscienza collettiva": ci si lamenta all'interno del proprio servizio e della propria realtà senza esprimere una capacità culturale al di fuori; l'educatore è mediamente capace di proporre cultura, si vede l'educatore come "colui che fà" piuttosto che "colui che insieme fà e riflette".. e come ultima critica sarebbe importante che ci sia una presenza maggiore di educatori docenti nell'ambito della formazione, per trasferire un sapere più reale e autentico
della professione".

4.6.3 Per un maggior riconoscimento


Alla domanda "In prospettiva...cosa manca oppure cosa bisognerebbe potenziare affinchè la professione possa essere maggiormente riconosciuta?" le risposte ottenute più frequentemente sono:

Costituire un'identità professionale precisa dell'educatore professionale, questo anche attraverso la diffusione di cultura e di informazione su quello che concretamente fà l'educatore; essere in primis promotori del proprio lavoro.

Promuovere la formazione permanente anche attraverso gli scritti e la documentazione degli educatori stessi, per comprendere appieno la loro funzione.

La creazione di un ordine degli educatori e la possibilità di essere rappresentati da un sindacato.

La costituzione di un albo professionale degli educatori è già di per sé un atto che sancisce la nascita della professione e quindi la possibilità di essere maggiormente riconosciuta; la costituzione di un codice deontologico, come risorsa per favorire visibiltà al lavoro educativo, aumentando perciò conoscenza, valore e spessore alla professione; la creazione di un percorso formativo unico a livello nazionale e di un profilo unico sia per l'educatore socio-sanitario che per l'educatore sociale.

Maggiore selezione all'interno dei servizi, per far in modo che l'educatore non venga confuso con altre figure professionali, acquisti credibilità rispetto al proprio lavoro e aumenti la qualità del suo intervento.

Maggior sostegno da parte delle istituzioni, politiche sociali atte a salvaguardare la professione e il settore sociale e maggior forza e rappresentatività da parte delle cooperative in questo senso.


 

 

"Sbagliamo nel pensare che debbano essere solo gli altri ad accorgersi di noi.."
. Così esordisce un educatore alla terza domanda del questionario!

Probabilmente si riferisce al fatto che anche noi, educatori, dobbiamo farci sentire e non dobbiamo solo aspettare che qualcuno si accorga di noi e attui un processo di riconoscimento della professione, senza il nostra collaborazione. Infatti, proprio come riporta un altro educatore: " Credo che la stessa comunità degli educatori professionali debba muoversi e partecipare per il riconoscimento della professione, a partire dal servizio e dall'organizzazione per cui lavora, promuovendo cultura educativa, aderendo all'A.N.E.P. (...)" ; e ancora: "Gli educatori per primi, dovrebbero parlare in maniera più comprensibile di quello che fanno ed avere un maggior rispetto della propria professione e professionalità, pretenderlo dalle altre figure professionali con cui opera e a livello più alto dal sistema sociale."

A livello politico e burocratico poi, ci si concentra maggiormente sulla costituzione di un albo professionale e di una figura unica della professione: "Creare un ordine degli educatori, qualcosa che ci unisca e ci fortifichi in quanto professione, un profilo unico per l'educatore professionale e insieme la costituzione di un albo professionale che sicuramente gioverebbe alla figura."

E infine dopo tutte le risposte critiche riportate in queste pagine, un educatore riferisce: "Nonostante tutto, credo che il riconoscimento maggiore arrivi dalle persone con cui lavoriamo e questo possiamo solo guadagnarcelo lavorando nel migliore dei modi..". Proprio per questo motivo sarebbe importante attivare risorse e politiche sociali, per dare modo alle professioni di svolgere il loro ruolo nel migliore dei modi e agli utenti di avere il diritto e la speranza di un futuro migliore.


 

 

 

 

 

 
Altre domande per ricercare

Infine, "C'è una domanda a cui avresti voluto rispondere, oppure hai qualcosa da aggiungere?" è una domanda pensata per avere un'opinione

libera da parte dei rispondenti. Data la brevità dell'intervista, si è pensato di lasciare uno spazio libero affinchè gli educatori avessero l'opportunità di esprimere ciò che desideravano riguardo l'argomento, oppure esprimessero una considerazione rispetto alla conduzione della ricerca e alla modalità utilizzata. Ventidue intervistati hanno risposto a quest'ultima domanda. C'è chi ha ribadito ulteriormente gli aspetti fondanti della professione rispetto all'utenza, all'équipe, all'importanza della relazione e alla situazione contemporanea; chi invece, andando in profondità, ha espresso delle considerazioni sulle motivazioni che l'hanno portato a scegliere questa professione, sul livello di soddisfacimento e gratificazione della stessa, e, ai piani più alti sul livello di riconoscimento:

"Avrei voluto rispondere alla domanda sul perchè ho scelto questa professione e la risposta sarebbe stata: perchè credo che un cambiamento sia sempre possibile in ogni situazione, perchè questo lavoro mi riempie di soddisfazioni e ritengo che a volte non sia solo un lavoro, ma una missione!";

"Avrei chiesto se sono soddisfatta del mio lavoro...oppure se il mandato che l'amministrazione mi dà come educatore è condiviso da me..ritengo che le modifiche che sono state apportate al ruolo dell'educatore dall'amministrazione comunale non siano state condivise dal gruppo degli educatori e individualmente non si è interpellati circa il cambio di mansioni che viene richiesto. Ruolo sempre più di operatore unico, simile all'assistente sociale".

Chi ancora, ha manifestato dubbi e perplessità rispetto alla condizione attuale, e al futuro di questa professione, ponendo numerosi interrogativi:

"Quale futuro per l'educatore? Sarà sempre considerato un professionista di serie B e verrà man mano sempre più confuso con l'oss, l'assistente sociale o altre figure? Perchè farci entrare nei meccanismi burocratici dell'Università, delle organizzazioni.. quando poi, non abbiamo un minimo riconoscimento da parte della società? Un albo professionale al pari delle altre professioni?"
;

Un altro educatore scrive: "In questo periodo storico dove ci troviamo a parlare continuamente di tagli e rinunce in un ambito già fortemente disagiato, che futuro ha l'educatore? Si salverà? Ognuno seguirà la sua passione e continuerà a fare il proprio lavoro sotto forma di volontariato? (..)".

Chi, ancora, con un occhio ben più critico rispetto agli altri e con un pò di rassegnazione, afferma:

" Proposte per potenziare il riconoscimento della professione? Questa professione è alla deriva, quello che ne rimane va fatto morire a sé stesso. Bisogna rinnovarla e riforndarla da zero, lontani dalle pesantezze burocratiche, tipo l'Università, o dalle richieste prescrittive delle cooperative sociali e dal sistema in generale, che non vogliono operatori formati e critici, ma docili ed ubbidienti tecnici del controllo sociale".

Questi interrogativi racchiudono perfettamente il clima di insicurezza sociale che sta vivendo la professione dell'educatore, a cui purtroppo è difficile dare delle risposte.

Chi infine, ha espresso delle osservazioni più tecniche rispetto alle modalità utilizzate per condurre la ricerca, ad esempio la preferenza di un questionario a risposta chiusa, per la facilità e la velocità nel rispondere alle domande; ed anche la valutazione di aver fatto più difficoltà a rispondere alla seconda domanda, per quanto riguarda i punti di forza della professione, piuttosto che quelli di debolezza.

lunedì 27 febbraio 2012

Tesi di Elisa Casetta (Capitolo 4 -prima parte-): La ricerca educativa

Quinto appuntamento con la tesi di Elisa Casetta.
In questo capitolo Elisa affronta il tema della ricerca in educazione; vi proponiamo la prima parte del capitolo, e per la seconda parte vi diamo appuntamento a lunedì prossimo.
Buona lettura!



CAPITOLO 4

La ricerca educativa
La metodologia della ricerca educativa e il metodo qualitativo

La metodologia della ricerca è un processo che mira alla conoscenza di fenomeni, eventi, situazioni, comportamenti, opinioni, attraverso l'organizzazione rigorosa di percorsi e strategie. Tale processo è solitiamente suddivido in fasi che, lungi dall'essere rigide e chiuse, presentano un alto grado di flessibilità e attenzione alle informazioni di feedback che si pongono costantemente all'attenzione del ricercatore.

Gli strumenti utilizzati nel processo di ricerca possono suddividersi in strumenti procedurali, strumenti di rilevazione dei dati e strumenti di analisi e interpretazione dei dati stessi. Per l'educatore è importante avere strumenti per fare ricerca, il suo lavoro è caratterizzato dalla necessità di conoscere situazioni, contesti e soggetti in modo dettagliato per progettare interventi mirati e specifici.

Tutte le ricerche nascono da una curiosità, da un problema, da una domanda, procedono a una raccolta di dati e li valutano criticamente per dare una risposta alla domanda iniziale.

Ogni tipo di ricerca richiede una scelta accurata di metodi di indagine predefiniti e adeguati al trattamento del problema che intende affrontare. L'importante in ogni ricerca, sia essa di tipo qualititivo, che quantitativo è che cosa si intende cercare, perchè questo impone una o l'altra delle metodologie. La ricerca educativa si distingue in ricerca quantitativa e ricerca qualitativa.

La ricerca quantitativa è considerata quella metodologia di ricerca basata essenzialmente su dati statistici attraverso cui è possibile trarre dati oggettivi. Gli strumenti usati nella ricerca quantitativa sono standardizzati e rigidi. Nella ricerca quantitativa, si classificano le caratterisitiche e si costruiscono modelli statistici, allo scopo di spiegare ciò che si è osservato. La raccolta dati nella ricerca quantitativa è caratterizzata da un basso grado di interazione con l'intervistato con conseguente minor rischio di contaminazione dei dati da parte del ricercatore.

Una caratteristica essenziale dell'analisi quantitativa è il formalismo delle procedure: la raccolta, il trattamento dei dati, l'impiego della matrice di dati e l'uso della statistica seguono dei protocolli definiti e facilmente replicabili. Questa elevata formalizzazione consente al ricercatore di rilevare e immagazzinare una gran quantità di informazioni con strumenti altamente standardizzati. Il ricercatore usa strumenti come questionari o altro materiale per acquisire dati numerici. I dati quantitativi sono più efficienti e validi per testare delle ipotesi, ma possono mancare di dettagli di tipo contestuale e il ricercatore tende a rimanere oggettivamente separato dall’argomento della ricerca.

Esistono temi, argomenti però, propri della ricerca educativa che non possono, per loro natura, essere analizzati in modo quantitativo, ma richiedono un approccio descrittivo e narrativo. Questo non implica la negazione del rigore nel progettare la ricerca, formulare le ipotesi e scegliere le procedure per la raccolta dei dati.

La ricerca qualitativa infatti ha per fine la "comprensione dei fenomeni sociali, individuali e situazionali attraverso l'attenzione al particolare (...). Inoltre questi fenomeni non sono misurabili: in quanto una credenza, una rappresentazione, uno stile personale di relazione, una strategia di fronte ad un problema, una procedura decisionale sono le caratteristiche specifiche dei fatti umani". La ricerca qualitativa si caratterizza per l'assenza della matrice dei dati, la non ispezionabilità della base empirica e il carattere prevalentemente informale delle procedure di analisi dei dati. E' un tipo di ricerca in cui non si fa ricorso alla misurazione; importante è l'interpretazione logica, intuitiva la comprensione emotiva dei fenomeni.

E' adatta per i piccoli campioni e per studi in profondità di alcuni argomenti. La ricerca qualitativa si differenzia da quella quantitativa, perchè permette di lavorare su molte variabili attraverso l'analisi di pochi casi e si basa sul concetto di interazione tra il ricercatore e il soggetto in un'ottica di ricerca-azione. La ricerca qualitativa si presta ad essere applicata a situazioni micro-relazionali, reali, quindi osservabili e affrontabili solo da vicino.


In queste situazioni il ricercatore deve immergersi, non rimanere spettatore impassibile, conscio anche che la sua soggettività andrà ad influire sulla rilevazione dei dati che vuole analizzare.

E questo deve essere considerato come una risorsa, perchè in grado di rilevare la presenza di elementi che sfuggono ad ogni determinazione di tipo oggettivistico. Il ricercatore che si avvale di un'analisi qualitativa, opera per raccogliere impressioni, rappresentazioni individuali o collettive di specifici fatti ed esperienze umane e lo scopo dell'analisi è portare alla luce fatti non immediatamente visibili. Egli in questo senso non è interessato al numero dei casi, ma all'enucleazione del maggior numero di aspetti e informazioni ricavabili dal caso singolo o contestuale.

La ricerca qualitativa, resta comunque sempre aperta a variazioni e ad aggiustamenti, che possono intervenire strada facendo.

In tal senso il ricercatore qualitativo è consapevole del fatto che impara nel corso della ricerca. Quindi un'ulteriore caratteristica della ricerca qualitativa è costituita dalla sua inevitabile valenza trasformativa. 

Non solo perchè si fa ricerca qualitativa per scoprire che cosa è possibile cambiare, ma perchè l'inclusione del ricercatore cambia di fatto la situazione ingerendo nuovi equilibri o squilibri.

Per ricerca si intende il processo di costruzione del dato basato sulla richiesta di informazioni a coloro che le posseggono, con domande strutturate o libere. All'interno dell'insieme dei diversi strumenti che costituiscono questo processo, quelli maggiormente coerenti con il contesto in cui l'educatore opera sembrano essere l'intervista e il questionario. La conoscenza della metodologia della ricerca è importante per l'educatore sia che voglia vestire l'abito del ricercatore, sia che voglia arricchire il proprio bagaglio culturale e professionale, con un metodo che può avere positive e concrete ricadute nella pratica lavorativa.

Le tipologie delle domande sono in stretta relazione alle modalità di risposta previste, anzi, la strutturazione di quest'ultime influisce sulla stessa denominazione delle tipologie di domande.

Possiamo avere, domande aperte e domande chiuse, con relative risposte aperte o chiuse.


Una domanda a risposta chiusa possiede un alto grado di strutturazione, mentre una domanda a risposta aperta possiede un basso grado di strutturazione e maggiore è la strutturazione, minore sarà la discrezionalità della ricercatore e la libertà di risposta dell'intervistato.

Il concetto di discrezionalità del ricercatore riguarda la possibilità di interpretare e personalizzare le risposte dell'intervistato.

Le domande chiuse permettono agli intervistati di scegliere tra alternative prefissate di risposta, mentre le domande aperte non prevedono queste alternativa, ma si lascia ampio spazio di libertà di scrittura all'intervistato.

Il linguaggio usato nella formazione delle domande esercita una grande influenza sulle risposte ricevute. È necessario porsi il problema del livello di difficoltà delle parole o espressioni utilizzate, facendo riferimento al target degli intervistati (età, sesso, status sociale ecc..).

In generale il linguaggio deve essere il più possibile privo di ambiguità semantiche e adeguato anche al contesto che si va ad investigare, avendo come obiettivo primario la comprensibilità delle domande da parte dell'intervistato. Gli strumenti della ricerca possono essere ordinati in base al loro grado di strutturazione, quindi in base al ricorso o meno alla predifinizione delle domande; ciò consente una maggiore o minore possibilità che il ricercatore dà all'intervistato di argomentare le risposte. Possiamo così analizzare gli strumenti di cui fa uso la metodologia della ricerca, seguendo lo schema riportato da S. Crispoldi (2008):

Questionario

Intervista
(semi-strutturata e strutturata)

Intervista biografica
(non strutturata)

Intervista di gruppo
(focus group)

Il questionario è uno strumento composto generalmente da una serie di domande a ognuna delle quali è collegata una serie predefinita di risposte. Questo consente di ottenere agevolmente informazioni su un preciso tema, coinvolgendo un grande numero di soggetti.

Nel questionario chiuso, le risposte sono codificate e prefissate e non vi è possibilità di rispondere in modo diverso.


L'alta strutturazione consente di analizzare il dato con l'ausilio di tecniche statistiche, ma d'altra parte la natura quantitativa dello strumento limita la possibilità di cogliere particolari aspetti del problema e una più completa comprensione della realtà in esame.

Il questionario aperto invece, prevede domande aperte con risposte aperte, in modo da lasciar spaziare la risposta dell'intervistato.

Questo tipo di strutturazione mira più ad osservare un atteggiamento, un fatto sociale, per scoprirne le posizioni, le idee e le emozioni del soggetto rispondente. Il questionario dev'essere sempre accompagnato da una lettera di presentazione, che spieghi la finalità dell'indagine, rassicuri l'intervistato sul rispetto della sua privacy e sottolinei l'importanza di risponedere accuratamente in modo veritiero al questionario.

È importante, inoltre, curare la formulazione delle domande e il linguaggio, che dev'essere semplice e privo di ambiguità.

L'intervista
può essere considerata come uno scambio verbale fra due persone, una delle quali, ponendo delle domande, è interessata a raccogliere delle informazioni o delle opinioni su un particolare tema.

Le interviste qualitative sono, dunque, conversazioni "estese" tra il ricercatore e l’intervistato, durante le quali il ricercatore cerca di ottenere informazioni quanto più dettagliate e approfondite possibili sul tema della ricerca. Al pari delle altre tecniche qualitative, l’obiettivo primario dell’intervista è accedere alla prospettiva del soggetto studiato, cogliendo le sue categorie concettuali, le sue interpretazioni della realtà e i motivi delle sue azioni. Anche in questo caso troviamo un grado di strutturazione dell'intervista; nell'intervista semi-strutturata si ha a disposizione una serie di item che devono essere affrontati, con domande specifiche, che possono essere aperte o chiuse. L'intervistatore è libero di bilanciare il colloquio come vuole, adattandosi alla situazione di intervista e alle caratteristiche del rispondente. Infatti, per quanto sia presente una traccia fissa e comune per tutti, la conduzione dell’intervista può variare sulla base delle risposte date dall’intervistato e sulla base della singola situazione (l’intervistato può anticipare alcune risposte, l’intervistatore può dover modificare l’ordine delle domande ecc.).


L’intervista strutturata prevede, invece, un insieme fisso e ordinato di domande aperte che vengono sottoposte a tutti gli intervistati nella stessa formulazione e nella stessa sequenza, l’intervistato è lasciato libero di rispondere come crede. Il fatto che le domande vengono poste a tutti nello stesso ordine rende l’intervista poco flessibile e adattabile alla specifica situazione; da questo punto di vista essa rappresenta una sorta di mediazione tra l’approccio quantitativo e l’approccio qualitativo, una tecnica "ibrida" che raccoglie informazioni, da un lato, in modo standardizzato (le domande) e, dall’altro, in modo aperto e destrutturato (le risposte).

L’intervista biografica
poi, è un tipo di intervista libera che si basa sulla storia di vita del soggetto. Una storia di vita è un insieme di eventi, esperienze e strategie relativi alla vita di un soggetto, organizzato in forma cronologico-narrativa, che il soggetto trasmette all’intervistatore in forma spontanea o pilotata, e che il ricercatore può integrare con altre fonti, quali documenti, narrazioni o testimonianze di altri soggetti.

Scopo delle storie di vita è la comprensione di motivazioni, intenzioni, vissuti, sentimenti, credenze dei soggetti, la ricostruzione della storia del gruppo di cui i soggetti fanno parte e dei processi sociali sottesi al gruppo stesso.

L'intervista può svolgersi anche fra più persone, attraverso il focus group, in cui un gruppo di persone è interrogato riguardo all'atteggiamento personale nei confronti di uno specifico tema. Le domande sono fatte in un gruppo interattivo, in cui i partecipanti sono liberi di comunicare con altri membri del gruppo ed è importante che l'intervistatore abbia competenze adeguate per condurre questo tipo di intervista, perchè oltre a saper ascoltare, deve saper incoraggiare la persona ad esprimersi, saper condurre la discussione all'interno del gruppo e intervenire in modo corretto all'interno di esso.



4.2 La scrittura in educazione

Ho scelto di effettuare una ricerca sulla figura dell'educatore perchè nella mia breve esperienza, mi sono resa conto di quanto l'educatore professionale occupi un posto marginale all'interno delle politiche sociali e nel sistema dei servizi.

Parlando con alcuni educatori, in diversi ambiti, dalla formazione, al tirocinio, al lavoro e con diverse esperienze di vita e lavorative, l'idea emersa è quella di una professione poco visibile, invisibile si potrebbe dire, una professione non riconosciuta in quanto tale, a livello sociale, professionale ed economico. Inoltre, spesso mi sono resa conto della difficoltà degli stessi educatori di parlare del loro lavoro, di ciò che fanno concretamente, nella quotidianità, di definirsi in quanto ruolo.

Mi capita spesso, quasi sempre, di trovarmi di fronte a questo tipo di conversazione:
"Che lavoro fai?"
"L'educatrice"
"Ah....tipo maestra?"

"No..."

Oppure: "Ah.. l'educatrice, quindi che fai?"

e in questo caso mi accorgo di non essere nemmeno io in grado di definire in modo soddisfacente cosa e come lo faccio.

Sicuramente la non completa definizione dal punto di vista normativo-giuridico ha fatto sì che questa professione rimanesse ignorata e marginale rispetto alle altre.

Un altro motivo per cui l'educatore è poco riconosciuto, è perchè noi in primis non ne parliamo a sufficienza, siamo troppo presi a volte proprio dal nostro lavoro, dalle difficoltà che quotidianamente ci porta ad affrontare, dalla mancanza di risorse che a volte ci fa rinunciare ad un progetto, dal bisogno di "staccare" usciti dal turno, che non dedichiamo spazio al "portare fuori" la nostra professione e questo contribuisce a una sorta di isolamento di essa (molte iniziative si muovono in questo senso ad esempio i convegni sull'importanza della scrittura, dell'autobiografia e della


narrazione nel lavoro educativo per "lasciare traccia", "fare memoria" della nostra professine..). Ciò che si constata da tempo ormai è che, in mancanza ancora di un'immagine definita e vissuta nella società di questa professione, gli educatori vengono spesso considerati professionisti di serie B, perchè si occupano di persone di serie B, si trovano spesso a condividere confusamente l'identità del soggetto di cui si occupano perchè subiscono la discriminazione che la parte tradizionale della società riserva ancora ai soggetti in difficoltà.

La miglior costruzione e definizione della categoria professionale dovrebbe concorrere a contrastare in parte anche tale dinamica.

Così mi sono proposta di capire cosa pensano gli educatori riguardo sé stessi e la loro professione, quali possano essere i punti di forza e di debolezza e cosa si potrebbe fare per potenziare il lavoro dell'educatore professionale. Ho scelto di sottoporre dei questionari a risposta aperta agli educatori, per far sì che si prendano tutto il tempo necessario per rispondere alle domande, per far sì che si sentano liberi di esprimersi e inventare nuovi modi di descrivere la loro professione.

L'idea iniziale era quella di intervistare un gruppo di educatori, ma la scarsità di tempo a disposizione non mi ha permesso di condurre questo tipo di ricerca. Riflettendo sulla modalità da utilizzare poi, sono giunta alla constatazione dell'importanza della scrittura nel nostro lavoro, come mezzo per narrare la propria esperienza di vita e lavorativa, le proprie emozioni, per fare memoria e creare un'identità che si fermi su quelle righe, che sia lì e di cui si possa disporre ogni volta che si vuole.

Ascoltare, osservare, raccontare e scrivere sono parti importanti del lavoro educativo. Scrivere è il modo per ripensare la pratica, far sì che l'esperienza quotidiana diventi un patrimonio sedimentario.

La scrittura, richiedendo una certa distanza tra i fatti, una differente "messa in ordine" dei dati apre la strada ad elaborazioni che attivano nuove strategie di pensiero ed azione, nuove forme di emozione e conoscenze, in un processo di pratica-riflessione-pratica che può facilitare il passaggio dalla semplice costatazione dei fenomeni, recuperando la dimensione di ricerca e la possibilità di uno scambio costruttivo con i diversi ambiti di ricerca.

S
crivere del proprio lavoro, per l'educatore, è costruire una forma di avvenimenti, è trovare il senso della continuità tenendo insieme le cose e le idee, definendo e mantenendo una posizione consapevole. Questo tipo di scrittura mette sotto forma intenzionale l'esperienza professionale e favorisce la realizzazione di uno strumento efficace di incremento di competenza e di pensiero. Come propone Cocever E. (1996) l'importanza della scrittura è data dal trovare o dare un senso al proprio lavoro, trasformando il "fare esperienza" in "avere esperienza", per ricavare da quest'esperienza una conoscenza e un sapere forte, che rimanga tracciato nel tempo, per avviarsi verso un collegamento tra lavoro di base e lavoro di ricerca. Il saper scrivere è legato a fattori che possono accompagnare l'acquisizione di competenze e questo è possibile solo se alla scrittura viene attribuito un senso professionale e profondo e non meramente burocratico. Gli educatori, nel loro lavoro scrivono, relazioni sui casi, diari di lavoro, verbali, programmazioni, progetti... questi scritti richiedono tempo e fatica e spesso si ha l'impressione che scrivere risponda all'adempimento di un dovere, piuttosto che come occasione per elaborare l'esperienza.

Ancora Cocever E. afferma che la scrittura come strumento di mediazione nei confronti dell'esperienza è un elemento di grande importanza per la vita sociale e per la realizzazione professionale di chi è operatore.

Ecco uno dei motivi per cui ho deciso di far scrivere gli educatori, per inventare e trasformare la propria esperienza in parole, per poterle rileggerle e riconoscersi in quelle parole e prendere reale consapevolezza di sè, per iniziare un processo -anche se limitato- di consocenza e riflessione sulla professione.

"La scrittura innalza il livello di consapevolezza; per vivere e comprendere bene, abbiamo bisogno non solo della prossimità, ma anche della distanza, questa scrittura regala alla mente umana in modo unico, come nient'altro può fare"
(W.J.Ong 1986).


 

 

 

La ricerca condotta si può comunque avvicinare ad una sorta di intervista, vista la possibilità di narrare della propria vicenda lavorativa ed esperienziale senza risposte rigide e strutturate, ma avendo solo una linea giuda e lasciando spazio agli intervistati di esprimersi nel modo da loro prediletto. Per R. Atkinson (2002) la produzione di questo materiale ha alla base una modalità di scambio dialogico tra il ricercatore e il soggetto che vive l'esperienza, che può essere definita "intervista narrativa: un colloquio finalizzato alla raccolta di storie in cui il ricercatore ha il ruolo di intervistatore e il soggetto di intervistato". Il termine "intervista narrativa" è da preferire a quello di "intervista biografica", in quanto quest'ultima mira a raccogliere l'intera biografia dell'individuo, mentre la prima solo uno o più aspetti importanti della sua storia. Sempre R. Atkinson afferma che il fatto di raccontare la nostra vicenda personale ci permette di essere ascoltati, riconosciuti e apprezzati dagli altri ed è attraverso il racconto che diamo una prospettiva e un significato alla nostra esperienza.

La narrazione biografica porta alla luce aspetti nascosti dell'esperienza del soggetto e permette di prendere consapevolezza sul proprio vissuto e sul proprio operato in quel dato contesto. In questo senso affermo che la ricerca condotta si avvicina a questo approccio, perchè la finalità che ha mosso l'indagine è stata anche quella di far giungere consapevolezza agli educatori sulla loro professione.

lunedì 20 febbraio 2012

Tesi di Elisa Casetta (Capitolo 3): Le competenze dell'Educatore Professionale

Quarto appuntamento con la tesi di Elisa Casetta.
Nel terzo capitolo Elisa argomenta sulle competenze dell'Educatore Professionale.
Buona lettura, e alla settimana prossima con il quarto capitolo!



CAPITOLO 3

Le competenze dell'Educatore Professionale

Come trattato nei precedenti capitoli, la professione educativa sta vivendo oggi una nuova stagione di ripensamento e di riqualificazione all'interno delle politiche sociali e nel sistema dei servizi. I cambiamenti del panorama culturale e di politiche sociali verificatisi in questi ultimi vent'anni hanno trasformato profondamente il modo di intendere e di realizzare la professione. Il compito primario, in questa nuova situazione, è quello di riflettere e mettere a fuoco sensi, significati, implicazioni e possibilità connesse alle nuove frontiere che si aprono alla professione. Una professione particolare e complessa quella dell'educatore: intenzionale ed interpretativa, fatta di competenze e riflessività, in cui le idee del rinnovamento e dell’auto-rinnovamento, giocano un ruolo determinante.

E’ una professionalità complessa, in cui molti saperi si connettono ad una prassi che è intenzionale e non solo tecnica, che necessita di capacità di progettualità e progettazione, di comunicazione e di formazione. Da qui la necessità della professione di riflettere costantemente su sé stessa, in modo da preservare la propria identità, il proprio carattere intenzionale oltre che lo statuto problematico.

Non si parla, come spesso si sente dire, di chiudere la fase sperimentale dell'educatore professionale, perché il lavoro educativo è intrinsecamente sperimentale, sia perché si costruisce nell'irripetibilità di ogni singola relazione educativa, sia perché cambia necessariamente secondo i mutamenti del contesto storico-sociale in cui avviene.

È giusto affermare appunto che si apre una nuova fase, tenendo conto dell'intero percorso di vita dell'educatore: il patrimonio di esperienza professionale ottenuto può finalmente consentire di riconoscere le linee fondamentali che caratterizzano la professione collegando in essa attività, metodologie diverse tra loro, nuove prassi e competenze in quanto rivolte e diverse utenze e a diversi ambiti di lavoro.


 

In base a quanto trattato finora alcuni interrogativi nascono spontanei:

Quale tipo di educatore si vuole formare? Che cosa richiede il mercato del lavoro? Queste modificazioni porteranno allo snaturamento del ruolo educativo dell'educatore a favore uno sanitario, con la progressiva scomparsa del primo? E’ possibile, e come, regolare l’accesso all’esercizio della professione educativa (albo professionale, codice deontologico ecc.)?

E’ attorno a questi interrogativi che si intende analizzare i cambiamenti avvenuti nella professione, mettendone a fuoco i punti fermi, le competenze consolidate, e riconoscendone i recenti ampliamenti di ruolo e funzioni, le competenze da implementare.


3.1 Chi è l'Educatore Professionale?
Nel clima di incertezza che da sempre ha caratterizzato il ruolo dell'educatore, questo è riuscito progressivamente e non senza fatiche a collocarsi e farsi spazio per riconoscersi ed essere riconosciuto; tutto ciò, portando un contributo specifico, che si è orientato sui processi di crescita, di apprendimento, di reinserimento sociale, sulla prevenzione con una rilevante e costante attenzione alla persona nella sua globalità, allo sviluppo della partecipazione degli individui, dei nuclei familiari, degli ambienti relazionali e comunitari e alla mediazione con le realtà di intervento.

Come già detto il profilo dell'educatore è definito con il D.M della Sanità n. 502/98 "Regolamento recante norme per l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'educatore professionale", in cui si evidenzia che:

L'educatore professionale:

a) programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità dei soggetti in difficoltà per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia;

b) contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine di realizzare il progetto educativo integrato;

c) programma, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all'interno di servizi sociosanitari e strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio educative, in modo coordinato e integrato con altre figure professionali presenti nelle strutture,

con il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati e/o delle loro famiglie, dei gruppi, della collettività;

d) opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei pazienti, allo scopo di favorire il reinserimento nella comunità;

e) partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione finalizzate agli scopi sopra elencati.

3. L'educatore professionale contribuisce alla formazione degli studenti e del personale di supporto, concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e all'educazione alla salute.

4. L'educatore professionale svolge la sua attività professionale, nell'ambito delle proprie competenze, in strutture e servizi sociosanitari e socio-educativi pubblici o privati, sul territorio, nelle strutture residenziali e semi-residenziali in regime di

dipendenza o libero professionale".

La definizione riportata nel decreto è quella tuttora in vigore, relativamente alla sola area sanitaria; non c'è infatti, una definizione giuridico-normativa che riguardi il profilo professionale, le funzioni e l'ambito lavorativo per tutti coloro che svolgono attività educative, al di fuori del campo sanitario.

Questo comporta una differenza, a livello di collocazione lavorativa, tra coloro che si affacciano al mondo del lavoro provenendo dai diversi percorsi formativi.

Su questi temi l'educatore si interroga e valorizza il piano dei valori e dei principi che conducono l'azione e i comportamenti professionali, al fine di offrire servizi nel pieno rispetto degli utenti, di sé stessi, e delle caratteristiche del contesto.


Il lavoro dell'educatore professionale oggi non può prescindere dal riflettere anche sui principi etici che lo caratterizzano, da cui parte il doveroso lavoro di costruzione di un codice deontologico.

Affrontare la dimensione deontologica permette di rispondere meglio alle domande relative al "non so cosa fare, non so come fare", ma anche alle domande relative al "perché" delle azioni che si compiono, al fine di delineare i limiti e i confini al di là dei quali un'azione educativa diviene eticamente incongrua di un punto di vista professionale.


3.2 Il codice deontologico

L' A.N.E.P. ha proposto dal 2002 un codice deontologico per la categoria degli educatori professionali, in cui vengono individuate le responsabilità nei confronti della propria professione, dell'utenza, delle famiglie, dell' équipe, del datore di lavoro e della società.

Nel codice deontologico s’individuano responsabilità, doveri e impegni, applicabili nell’esercizio della professione dell'educatore professionale, indipendentemente dalla situazione di lavoro, dall’utenza di riferimento, dall’organizzazione dei servizi in cui si opera. L'obiettivo è quello di determinare e di garantire la qualità della pratica professionale degli educatori, secondo principi universalmente riconosciuti e criteri stabiliti dagli stessi. Per meglio chiarire l'utilità di un codice deontologico bisogna innanzitutto ribadire che non si tratta di un manuale, e neanche un mansionario dove poter trovare risposte operative alle infinità di situazioni in cui l'educatore si trova ad operare.

Un codice deontologico che si rivolge ai professionisti, infatti, porta con sé alcune problematiche: è impossibile codificare e regolamentare alcuni aspetti del lavoro educativo, come ad esempio "l'empatia", è una caratteristica questa, personale e personalizzata, ma si può comunque cercare di creare una sorta di "etica comune" a tutti gli educatori, in quanto proprio la presenza di un codice dà per scontato che ci sia una condivisione di valori tra tutti i professionisti e tra gli utenti.


 

La presenza di un codice deontologico è collegata al modo in cui gli educatori vedono la propria professione, un importante strumento di riconoscimento e auto-riconoscimento, nel tentativo di promuoverla e salvaguardarla da possibili esercizi abusivi e non professionali.

Il codice dev'essere inteso come risorsa, che insieme ad altri strumenti tende a favorire visibilità al lavoro educativo, aumentando perciò conoscenza, valore e spessore alla professione. Possiamo affermare che questo codice abbia assunto, per molti, una funzione di tipo "orientativo-conoscitiva" ,come forma di riconoscimento, tutela e diritto, e una prospettiva di legittimazione della professione. A causa di una legislazione ancora carente, il codice risulta indebolito per ciò che attiene la funzione "normativo-giuridica", in quanto manca un'indicazione precisa sia sul percorso formativo che abilita all'esercizio della professione, sia per tutti quei riconoscimenti utili per la costituzione di un albo professionale, al pari delle altre figure professionali che operano nel settore socio-sanitario e non solo. Nonostante questi innumerevoli sforzi, ad oggi gli educatori sono sprovvisti di un codice deontologico adeguatamente codificato e regolato e di un albo professionale, grosso limite, questo, per il riconoscimento di tale professione.


3.3 Le competenze professionali

Il tema della competenza risulta quindi fondamentale ed essenziale per la professionalità dell'educatore. Affinché una professione nasca, si riconosca, venga formalizzata e si consolidi, non è necessario che abbia solo un riconoscimento in leggi specifiche, ma è indispensabile che sia connotata da un corpo di competenze solido e condiviso.

All'educatore infatti, sono richieste specifiche competenze per svolgere al meglio le proprie funzioni.

Non basta essere ben disposti e intenzionati verso l'altro per realizzare un intervento educativo, ma è necessario possedere capacità, abilità e competenze che sono fornite e alimentate da un processo continuo di formazione e auto-formazione.


La complessità e la molteplicità degli interventi e dei contesti in cui opera l'educatore, comporta la necessità di acquisire competenze multiformi, variegate e trasversali, che fanno riferimento sia ad ambiti teorici, che metodologici-pratici. Il termine "competenza" deriva dal verbo latino cumpetere "chiedere, dirigersi a" , il che equivale ad andare insieme, mirare ad un obiettivo comune, nonché finire insieme, incontrarsi. Quando si utilizza questo termine si fa’ comunemente riferimento al possesso, da parte del soggetto, della capacità di manifestare comportamenti adeguati in situazioni differenti, di combinare attivamente e creativamente le risorse disponibili (conoscenze, capacità e attitudini) in maniera funzionale ai contesti e alle situazioni della realtà quotidiana, dunque la persone dovrà essere in grado anche di padroneggiare casi o situazioni problematiche. Non bisogna però ignorare che, all’atto pratico, la competenza trova espressione in contesti sempre mutevoli e mai uguali a se stessi. Nella pratica lavorativa il professionista utilizza oltre ad un bagaglio di conoscenze e ad una sempre più raffinata capacità procedurale, una sensibilità personale. Vi è quindi un’area che fa riferimento a dimensioni personali della persona, al suo sistema di valori, ai tratti della sua personalità.

"Il professionista è quel soggetto che non solo possiede competenze specifiche, ma è in grado di far fronte all'imprevisto, all'incertezza, alla complessità. La professionalità quindi, non è solo aderenza alle regole, ma anche interpretazione e invenzione delle stesse, ricerca continua e innovazione, capacità di problematizzare situazioni e identificare intuizioni e soluzioni perché si costruiscano repertori e pratiche di gestione dell'attività professionale. Professionalità nello stesso tempo, è sinonimo di padronanza di sé stessi, del contesto, degli altri, della situazione come capacità di essere efficiente, efficace e soprattutto inventivo e creativo, in grado di fare i conti con la complessità e di uscire dagli schemi rigidi e obsoleti".

Svolgere il ruolo di educatore significa calarsi nel processo educativo con il bagaglio di saperi necessario a comprenderlo, orientarlo ed a promuoverlo.

Quel bagaglio è fatto di competenze distintive, in quanto patrimonio specifico della professione, di competenze consolidate nel tempo e di competenze che, sia sulla base delle evoluzioni degli "scenari", che sulla base della crescita professionale, saranno da implementare o da sviluppare in futuro.


3.3.1 Le competenze consolidate
Le competenze sviluppate nel lungo processo di evoluzione dell'educatore riguardano diversi ambiti, che vanno dall'area della conoscenza di base, delle competenze metodologiche, quelle comunicativo-relazionali, quelle organizzative, fino alle competenze personali e relazionali.

Le conoscenze teoriche
comprendono sia un approfondimento delle principali scienze umane (pedagogia, antropologia, psicologia, sociologia, diritto) che un’adeguata conoscenza delle discipline medico-sanitarie, ma fanno anche riferimento alla necessità che gli educatori siano uomini e donne del loro tempo, partecipi della vita sociale e politicamente attenti. Tali discipline predispongono un'apertura mentale in grado di comprendere i processi di socializzazione e integrazione, le diverse tipologie di soggetti con cui l'educatore si troverà ad agire e i contesti circostanti.

Le competenze metodologiche
, riguardano il "saper fare", da intendersi come capacità d’azione, come abilità nell’individuare le strategie e gli strumenti più congrui alla realizzazione concreta di processi, a partire da obiettivi generali e dall’analisi delle principali caratteristiche dei protagonisti dell’evento educativo. Nella professionalità la tecnica è pur sempre intenzionale, essa acquista infatti senso e valore solo attraverso la capacità di essere congruente con il contesto a cui si riferisce.

La professione usufruisce della progettualità e della progettazione, intese come filosofia dell’agire, come metodo e strumento operativo.

La progettualità garantisce una professionalità teleologicamente orientata, la progettazione è l'atto pratico della stilazione del progetto, mentre la ricerca accompagna il continuo professionalizzarsi entro una dinamica prassi-teoria-prassi.

Ecco allora come nasce la Ricerca-Azione , fondamentale per attivare i soggetti, per produrre azioni in grado di ricercare e costruire competenze e favorire processi di cambiamento. Progettualità e ricerca devono consentire, quindi, al soggetto di generare ulteriore professionalità e permettere di mantenere alta la riflessione sulle dimensioni specifiche della professionalità pedagogica.

L' educatore professionale può essere considerato anche un "tecnico della comunicazione". Quest'area si riferisce alla capacità di veicolare un bagaglio di informazioni di varia natura, basata su una conoscenza approfondita delle dinamiche in cui l'educatore è inserito. Esso infatti, comunica con l'utenza, ma anche con le loro famiglie, con i colleghi del gruppo di lavoro, con i diversi attori sociali presenti nel territorio.

La competenza comunicativa
si riferisce perciò al concetto di "comunicazione educativa", che sostanzia quello più ampio di "relazione educativa", attraverso la quale si realizza lo sviluppo emotivo, affettivo, sociale e cognitivo degli utenti che diventano protagonisti del proprio percorso di crescita e cambiamento.

Appare quindi fondamentale che l'educatore acquisisca la capacità di predisporre un clima materiale e psicologico di rispetto, fiducia, sostegno e sicurezza reciproci, di stabilire rapporti empatici con i soggetti, di prendere in considerazione i diversi punti di vista e di coinvolgere responsabilmente l'utenza nell'individuazione dei bisogni e nella progettazione e conduzione delle attività.

L'area delle competenze organizzative poi, comprende l’amministrazione, la gestione e lo sviluppo dei servizi socio-educativi dove lavora, e l’organizzazione, pianificazione sistematica del lavoro socio-educativo. L’educatore sociale deve saper progettare e promuovere le attività ed i processi socio-educativi, così come documentarli e valutarli dal punto di vista delle finalità e dei metodi socio-educativi.

Infine, le competenze personali si riferiscono all'esperienza di vita, al vissuto personale e alla formazione dell'educatore. In esse si fondano saldamente gli aspetti motivazionali e comportamentali e le situazioni nelle quali l'esperienza si è realizzata.

La personalità complessiva dell’educatore, le sue peculiarità caratteriali, le sue virtù e le sue inclinazioni personali sono essenziali al fine dello svilupparsi di relazioni significative.

Come riportato da L. Milani (2000) le abilità personali dell'educatore portano alla costruzione di competenze trasversali, che si possono raggruppare in:

Saper apprendere: apprendere ad apprendere è l'obiettivo principale del lavoro educativo; bisogna costruire una professionalità aperta e dinamica che consenta l'attivazione di comportamenti e condotte mirate alla messa in atto di competenze di volta in volta adeguate alla situazione.

Essere una persona creativa: educare non è trasferire o riprodurre modelli, ma valorizzare, personalizzare, inventare e declinare al singolare l'atto educativo.

Saper assumere rischi: il buon esito di un progetto, di un cammino non è mai dato per scontato. È necessario che l'educatore tenga in considerazione la probabilità di poter sbagliare e di assumersi il rischio che possono comportare le sue responsabilità.

Saper tollerare le frustrazioni: è importante saper gestire i conflitti, la rabbia e il fallimento che si può verificare in ambito educativo.

Essere disponibili al cambiamento: strumento principale per condurre ogni tipo di intervento. La relazione educativa trasforma continuamente non solo il soggetto, ma anche chi opera con lui. L'indisponibilità al cambiamento rende improduttiva e inefficiente la relazione educativa, che richiede capacità di mettersi continuamente in gioco.

La competenza cardine, sempre secondo Milani L., dell'educatore professionale è la competenza pedagogica e lo strumento principale che egli ha per attuare il processo educativo è la relazione educativa.


"La competenza pedagogica si può definire come l'insieme complesso e dinamico di conoscenze, di abilità, di procedure metodologiche, di esperienze consolidate e ordinate di tipo educativo, fondate sulla riflessione e sulla teorizzazione pedagogica che connota in modo specifico la professionalità educativa e che i soggetti che operano in questo settore devono saper mettere in campo in modo personale e critico quando progettano, attuano e valutano il proprio intervento".

Essa , inoltre, si qualifica per essere costruita intorno al principio di educabilità dell'uomo e quello di relazione come condizione per la promozione, lo sviluppo e il cambiamento. La competenza pedagogica si fonda e si muove secondo la prospettiva della globalità; qualsiasi evento educativo infatti si realizza come un organico e complesso insieme di elementi o di variabili tra loro in stretta connessione. La globalità consente di operare educativamente evitando parzialità che non tengono conto della complessità intrinseca e costitutiva del fatto educativo e, soprattutto, permette l’apertura verso altri punti di vista e verso altre professionalità.

Appartengono alla competenza pedagogica la capacità di comunicare e l’orientamento metodologico per cui la persona stessa dell’educatore professionale rappresenta uno dei fattori educativi rilevanti. Acquistano in tal modo notevole importanza la concretezza e la continuità della relazione educatore-educando. E’ possibile quindi ritenere la competenza pedagogica ciò che insieme qualifica e distingue l’educatore professionale. Possiamo e dobbiamo considerare il soggetto dell’educazione sempre in qualità di singolo, sempre un’eccezione che non può diventare regola, nel  riconoscimento della specificità della persona umana. La particolarità della competenza pedagogica è la progettualità educativa, l’elaborazione di un percorso intenzionale in cui il soggetto in formazione prende forma. L’evento educativo è nello scambio reciproco, "relazione" e "cura". La cura è intesa come atteggiamento di premura, attesa, gratuità; cura è farsi carico dell'altro e accompagnarlo lungo il cammino di cambiamento. L'educatore deve essere consapevole che le capacità e le risorse del soggetto non si sviluppano se non esiste qualcuno che si prenda cura di lui.

Lo strumento essenziale dell'educatore è la relazione educativa: la costruzione di un rapporto significativo con l'utente è fondamentale, dal momento che ogni maturazione, ogni cambiamento è impossibile se non vi è il coinvolgimento diretto con l'utenza. La relazione educativa si differenzia dalle altre relazioni, in quanto persegue l'obiettivo di promuovere lo sviluppo e la crescita di un cambiamento mirato e quanto più consono alle prospettive dell'utente. Per questo è importante che sia dotata di intenzionalità, per far in modo che l'intervento sia finalizzato ad uno specifico obiettivo e non improvvisato. L'educatore dev'essere in grado di osservare, ascoltare, percepire, nel senso di avvertire gli stimoli della realtà esterna, captare anche i minimi particolari e i segnali di un soggetto che possono essere fondamentali alla costruzione di una buona relazione. Deve adottare strategie d'intervento, sempre soggette a verifiche e valutazioni in itinere, prendere in considerazione i diversi mondi in cui è coinvolto l'individuo e inserirsi lui stesso nella relazione per comprendere a fondo le dinamiche di quell'intervento, ma nello stesso tempo, saper trovare un giusto equilibrio tra coinvolgimento e distacco.

Questo è uno dei punti cruciali della professione: non ci si può lasciar prendere troppo dalle situazioni vissute dall'utente e non si può nemmeno distaccarsene eccessivamente, altrimenti si corre il rischio di attuare un progetto distaccato, immotivato, disinteressato e fine a sé stesso.

Il mantenimento di questo equilibrio è un'impresa ardua perché mette in campo aspetti personali dell'operatore, che attengono alla sua emotività e affettività. Infatti, l'affrontare quotidianamente relazioni empatiche, di aiuto e spesso di sofferenza con l'utenza mette in primo piano anche l'interiorità, le debolezze e il vissuto dell'educatore stesso.

Attraverso questa relazione l'educatore instaura una comunicazione che comprende la globalità della persona, promuovendo nel soggetto l'autonomia, e dove non è possibile, il mantenimento di una qualità di vita dignitosa, la costruzione dell'identità e lo sviluppo della personalità, favorendo cambiamenti e tenendo in considerazione risorse e potenzialità e poi limiti e difficoltà di ognuno. Ciò attraverso la difesa delle risorse già consolidate e recupero delle potenzialità residue di ogni individuo, e con azioni pensate, progettate, valutate e documentate, sempre tenendo conto della storia di vita e del contesto socio-ambientale in cui esso è inserito.

In sostanza possiamo affermare che la finalità generale degli educatori è il cambiamento: "Lavorare per il cambiamento e non limitarsi all'assistenza, anche nella concretezza, significa modificare gli equilibri, le identità fragili: ad esempio non solo utilizzare le risorse pubbliche disponibili per supportare una famiglia in difficoltà lasciando immutate le dinamiche familiari e sociali di questa, ma attivare e progettare un utilizzo delle risorse specificamente indirizzato a comprendere le dinamiche problematiche della stessa e modificarle, per attuare un cambiamento all'interno, per promuovere autonomia e far in modo che la famiglia riesca a ritrovare un suo equilibrio e una sua stabilità" (O.Gardella;F. Angeli).

Ovviamente è un processo, questo, lungo e faticoso, ma è questo che dovrebbe essere il lavoro sociale. Quando si parla di cambiamento, si parla innanzitutto di cambiamento della propria visione, percezione e lettura di sé stessi, e poi, anche delle condizioni di vita.

Come afferma Demetrio D.: "l'educazione è la scienza del cambiamento, poiché esso è intenzionale da parte dell'educatore e non solo percepito, ma spesso ricercato da parte del soggetto".

Il soggetto può scegliere di attuare il cambiamento per desiderio o per convenienza, ma sempre deve avvenire una ripartizione delle responsabilità che lo veda attivo e creativo, malgrado tutte le possibili resistenze che egli frappone tra sé, questo processo e chi lo conduce.

Ancora Demetrio: "il cambiamento è fondamentalmente portatore di un dislivello, di uno scarto tra prima e dopo, tra un lasciarsi alle spalle e un guardare avanti, tra una fine e un inizio, tra una perdita e una conquista, tra un abbandono e un incontro, (…) tutto ciò chiama in causa sia la natura critica e conflittuale , sia l'efficacia riconciliativa e riparatoria del cambiamento". L'educatore in questo senso deve aspettarsi e saper affrontare momenti di crisi, di rifiuto e regresso da parte del soggetto.

E' fondamentale lasciare spazio all'errore, perché proprio l'errore differenzia i percorsi, li personalizza, li cambia e li migliora: nella sua imperfezione l'errore è ciò che testimonia la costante ricerca e creatività delle infinite possibilità, propria del lavoro educativo, e richiede coraggio, perché solo chi accetta di sbagliare accetta il rischio connesso al cambiamento ed è disposto ad apprendere.

"Tollerare l'incertezza, esplorare lo spazio aperto del possibile, della sospensione del giudizio, procedere in territori ancora sconosciuti, sono caratteristiche proprie dell'educatore, che non può accontentarsi di interpretare il ruolo dell'accompagnatore, dell'intrattenitore, del ‘bravo ragazzo,disponibile’, che ancora in tanti servizi viene richiesto il futuro per la figura educativa, pena il rischio di appiattire la professionalità in mero ruolo esecutivo, può realizzarsi nel giocare la scommessa di muoversi in territori incerti e di sostenere l'ambivalenza del possibile e del non compiuto (...)".

Come sostiene ancora L. Milani (2000), queste prospettive permettono di sintetizzare alcune competenze pedagogiche consolidate nel tempo dall'educatore professionale:

Saper gestire la complessità: gestire la complessità implica la padronanza di strumenti culturali in grado di cogliere, al di là delle apparenze, la rete di relazioni, situazioni e problematicità che sempre accompagnano l'evento educativo.

Sapersi confrontare con i sistemi di significato: è necessaria la capacità di leggere e interpretare il sistema e il contesto educativo in cui l'educatore opera, l'insieme dei valori appartenenti al quel soggetto in quella determinata cultura e con il suo bagaglio di conoscenze ed esperienze.

Saper interpretare i bisogni educativi: il compito è quello di promuovere l'educabilità, e pertanto, individuare i bisogni educativi e formativi del soggetto in questione. L'attività dell'educatore è incentrata sul futuro della persona, sulle potenzialità da sviluppare sulle quali egli scommette ed elabora un progetto attento all'unicità e alla globalità della persona. Saper interpretare i bisogni educativi significa anche saper cogliere le domande latenti, non espresse, spesso più autentiche di quelle manifeste.

Saper osservare, ascoltare e indagare: saper osservare e ascoltare costituiscono le premesse di ogni relazione educativa. L’osservazione è un atto di percezione, quindi, un atto selettivo di raccolta, di decodifica e di ricostruzione dei dati. Bisogna tenere in considerazione che non esiste un'osservazione pura, in quanto sempre condizionata dalle nostre vedute. L'ascolto è una fase altre sì importante nella relazione, perchè permette di comprendere realmente ciò che l’altro sta dicendo, mettendo in luce i suoi punti di forza e le sue debolezze. Infine, saper indagare, come metodologia della ricerca, che consente di affrontare e gestire la complessità e la problematicità della realtà e del processo educativo stesso.

Lavorare in gruppo, con altri professionisti e in rete: il lavoro d'équipe e quello in rete costituisce la prassi di ogni lavoro educativo. Lavorare in gruppo significa saper collaborare, affrontare un dibattito, un confronto, essere capaci di dialogare con altre professionalità e diversi linguaggi, capacità di socializzazione e scambio reciproco. Questo è un importante punto di partenza per lo sviluppo di un progetto completo e concreto.

Essere buoni comunicatori: nella relazione educativa ciò che conta è la volontà da parte dei diversi attori di costruire un legame; la comunicazione è lo strumento che favorisce questo legame. Parlare all’utente non vuol dire limitarsi ad usare un proprio linguaggio per esprimere i contenuti, ma vuol dire saper usare un linguaggio comprensibile e questo implica la necessità per l'educatore di conoscere e saper utilizzare diversi linguaggi, da quelli verbali a quelli non verbali, con cui l’ educando, in base all’età, al livello di maturazione e cultura, può esprimersi. In modo particolare l’educatore sa leggere il linguaggio non verbale dell’utente, ma sa anche gestire il proprio poiché è soprattutto attraverso questo che invia messaggi non espliciti, ma ugualmente rilevanti.

Gestire la diversità: l'educatore agisce nella diversità, per questo è importante che sappia accoglierla, di modo che ognuno possa esprimersi nella sua libertà, che sappia riconoscerla e promuoverla, per assicurare dignità alla diversità di ognuno, che sappia relazionarsi, crescere e rispondere alla diversità. Perché la diversità deve essere assunta come fulcro di ogni azione educativa, in quanto realtà da esplorare, risorsa per il singolo e il gruppo.

Saper progettare: progettare significa guardare al futuro, inventare nuove prospettive e fa riferimento all’intenzione di impostare ogni attività educativa in concreto.


3.3.2 Le competenze da implementare

Lavorare con singole persone o con gruppi, coordinare e progettare interventi, sviluppare reti o imprese sociali, sostenere lo sviluppo delle comunità locali o i processi formativi dei nuovi educatori, prestare consulenza ad équipe e progetti educativi sono diventati i nuovi confini del lavoro educativo.

La professione nata sulla dimensione del prendersi cura si sta via via trasformando per giungere a nuovi orizzonti. Il prendersi cura diventa una modalità di approccio alle situazioni, non solo alle persone, è il porre attenzione a quel contesto, l'avere cura di quella determinata situazione o di una molteplicità di situazioni. È possibile prendersi cura altre sì del funzionamento dei processi, della connessione fra sistemi, della costruzione di reti, della gestione e verifica delle attività, delle strategie di progettazione e di tutte le modalità operative. "Pensare all'educatore in questi termini significa immaginare un professionista in continuo divenire e che non solo spende il proprio ruolo circoscritto all'interno di un servizio, ma si garantisce spazi di riflessione e di confronto" .

Il passaggio è avvenuto dal prendersi cura dei singoli soggetti in difficoltà al prendersi cura dell'intero gruppo, dei servizi, del territorio, delle comunità fino al prendersi cura degli altri educatori.

In questi ultimi anni le richieste di funzioni educative sono andate sempre più radicandosi nel complesso panorama dei servizi socio-sanitari e assistenziali. L'esperienza condotta nei servizi, la formazione e i processi di riqualificazione hanno portato gli educatori ad avere un mercato e conseguentemente in base a questo ad avere richieste sempre più specifiche riguardo le proprie competenze e funzioni. Il processo di aziendalizzazione che è avvenuto in questi anni nel settore del sociale, ha rinnovato l'attenzione da un lato attorno al contesto organizzativo e alla ricerca di modelli di sviluppo ideali di funzionamento, dall'altro nei confronti degli operatori dei servizi, del loro essere parte di quell'organizzazione e delle loro competenze. Una professione duttile, che cammina di pari passo con il consolidamento del sapere teorico e metodologico.

Una professione che, a differenza di altre più affermate, ha saputo ristrutturare il proprio lavoro senza perdere di vista la propria identità. A partire dai cambiamenti in atto in quest’inizio di millennio i professionisti hanno colto l’occasione per rifondare e riqualificare la cultura professionale esistente, arricchendola e consolidandola. L’educatore ha dimostrato una grande capacità di adattamento ai bisogni dei soggetti dei quali si occupa ed alle richieste del contesto sociale nel quale essi sono inseriti. Questa abilità nella lettura del bisogno e nella mediazione è stata accompagnata dalla capacità dell’educatore di decidere del proprio destino professionale senza attendere che fosse il mercato del lavoro a farlo. Ogni cambiamento sociale è stato una sfida per la professione, ed ancora oggi, in assenza di una regolamentazione, l’autonomia professionale dell’educatore sembra essere affidata alle capacità personali di esporsi ai rischi delle novità. Alcuni educatori hanno interpretato infatti le evoluzioni sociali, culturali, politico e legislative in atto come motivanti possibilità di apprendimento professionale. Questi operatori non si sono quindi limitati a rispondere in modo efficiente ed efficace alle modifiche ambientali, ma hanno allargato il patrimonio dei contenuti dando di fatto avvio ad un processo di revisione della professione.


 

 
Tale processo è destinato a proseguire. Da un lato, perché la realtà sociale, politica, culturale porterà sempre nuovi bisogni e nuove situazioni su cui occorrerà intervenire; dall’altro perché è nella natura stessa dell’educatore, e delle organizzazioni in cui opera, la tensione verso la ricerca, la disposizione all’indagine, all’esplorazione di percorsi possibili.

Se questo atteggiamento è riscontrabile in molti educatori, e globalmente nella figura stessa, è possibile riprendere il cammino provando ad evidenziare i futuri approdi possibili e lo sviluppo delle competenze emergenti. L'identità dell'educatore è un’identità in divenire, costruita attraverso percorsi complessi e non lineari, infatti il punto di forza della professione è proprio saper operare nei territori di "frontiera", là dove poco può essere rigidamente standardizzato. La connotazione di questo processo appare caratterizzata dalla capacità dell’educatore di prendersi cura della professione e di saper divenire senza snaturare la propria professionalità ma affiancando i tempi nel loro cambiamento.

Se in passato il mandato lavorativo era connesso alla relazione duale con l’utente, oggi si è giunti alla consapevolezza della nodale importanza del territorio e delle istanze di cui è portavoce. All’interno di questa logica evolutiva è avvenuto il passaggio verso una concezione più olistica del lavoro educativo che si è concretizzata nel lavoro di rete o lavoro di comunità. Questa nuova modalità operativa pone nel territorio e nella comunità locale le dimensioni entro cui collocare ogni intervento educativo, ovviando qualsiasi pratica autoreferenziale.

Gli educatori si sono trovati a lavorare, dialogare, costruire processi di cambiamento con i cittadini, con gli amministratori pubblici, con professionisti di altri servizi, con interlocutori del privato sociale, al di fuori delle istituzioni. Hanno così dovuto ricostruire i riferimenti teorici, ricollocandosi nella rete e nelle relazioni implementando le pregresse competenze. Mediazione e contrattazione, per esempio, costituiscono competenze connaturate nella professionalità educativa, entrambe appartengono all’educatore quali capacità ineludibili nella relazione con l’utenza. In questo contesto, è necessario saper utilizzare le competenze riferite all’osservazione, analisi, integrazione, cooperazione e valorizzazione delle risorse.

L’équipe non è più l’unico luogo di progettazione condivisa: bisogna essere capaci di lavorare integrando i contributi di altri soggetti appartenenti a servizi diversi, con culture, metodologie, mandati e risorse tra loro eterogenei. Il lavoro dell’educatore vede lo spostamento anche in altre direzioni attraverso le quali reinterpretare e ampliare le competenze pregresse. Si parla dunque di "saper progettare insieme".

Si compie infatti un passaggio dalla progettazione educativa, al progettare e realizzare interventi integrati con altri soggetti.

Anche la capacità progettuale, intesa come saper pensare in modo intenzionale e strategico, diventa oggetto di implementazione seppur mantenendosi all’interno della specificità dei compiti dell’educatore.

Il lavoro progettuale è l’esito di un processo comunicativo che vede interlocutori tra loro diversi collaborare per il raggiungimento di un obiettivo e la realizzazione di un intervento.

La capacità di curare la comunicazione ed i suoi processi è competenza intrinseca alla professione stessa ed è spendibile in ambiti quali la progettazione integrata con organizzazioni e istituzioni con mandati sociali e mission diverse. Le nuove consapevolezze circa il proprio agire professionale hanno condotto l’educatore a sviluppare la competenza progettuale in una direzione dialogica.

Progettare dialogicamente significa costruire con l’utenza dei percorsi, porsi in una posizione di dialogo ed ascolto. In questo caso l’educatore non è chiamato a produrre risposte quanto piuttosto ad attivare un processo comunicativo nel quale è cruciale il significato che i diversi attori coinvolti ne danno. La capacità di superare i confini dei servizi ha condotto, in tempi recenti, gli educatori a ricoprire ruoli di coordinamento, gestionali, organizzativi in cui è necessaria una professionalità forte, orientata sempre e comunque dalla riflessione sul proprio fare.

In queste nuove dimensioni paiono presenti alcuni elementi di criticità che rischiano di snaturare l’identità e l’essenza dell’educatore in forme standardizzate a volte troppo rigide e semplificatorie delle pratiche del lavoro sociale e di quello educativo, perdendo di vista la sostanza del lavoro quotidiano.

Il rischio prospettato è quello di un educatore burocrate, che privilegi il contenitore organizzazione-efficienza- economicità al contenuto persone-bisogni- efficacia.

"La strada indicata, per tentare
di far fronte a questi pericoli, sembra essere quella di percorrere e occupare una sorta di terra di mezzo: tra livello politico-organizzativo e livello operativo, tra operatori e altri operatori, tra operatori e utenti. Comunque una posizione che consenta di stare dentro le situazioni e non sopra o ai margini, in modo da monitorare e alimentare l’interazione tra teoria e prassi, alla ricerca di modelli e strategie innovative e adeguate ai nuovi bisogni".

L'educatore, quindi, dovrà essere particolarmente competente in:

Utilizzare nuove forme comunicative: i mutamenti sociali in atto, provocati e sorretti anche dall’introduzione e utilizzo delle nuove tecnologie, stanno cambiando profondamente i nostri stili di vita e dunque rappresentano un nuovo ambito entro cui l’intervento educativo si trova ad agire. Si tratta anche in questo caso di imparare ad utilizzare queste nuove tecnologie in modo creativo e di saper interagire con esse come nuovo strumento per entrare in relazione con il soggetto.

Lavorare in molteplici luoghi: spesso in questo contesto lavorativo l’educatore si trova a ricoprire diversi ruoli in diversi luoghi ; ciò significa che in molti casi si trova a rivestire le proprie risorse in maniera diversificata e meno totalizzante: diversi tipi di utenza, diversi assetti lavorativi, diversi strumenti e metodologie. Se da un lato ciò richiede più energie rivolte al versante organizzativo, dall’altro è segno di visibilità per la professione (alcuni educatori sono liberi professionisti) e rappresenta un valore aggiunto all’interno dei diversi contesti d’azione.


Essere ricercatori: l'educatore deve agire con un costante occhio critico e ricercatore all'interno della sua realtà, nel contesto socio-culturale e politico-organizzativo in cui opera, al fine di ridimensionare di volta in volta la sua professione e le sue competenze, conoscere e ricercare nuovi strumenti per far fronte alle diverse situazioni e al cambiamento.

A termine di questo viaggio attraverso il modo delle competenze, possiamo affermare che non si possono definire a priori il ruolo e le funzioni dell’educatore professionale, in quanto si modificano e si rinnovano di pari passo con i mutamenti sociali.

Questo però non nega la possibilità di tracciare linee guida e avere bene chiare le funzioni che deve svolgere nel suo lavoro, al fine di attuare un processo di riconoscimento e auto-riconoscimento e uno sviluppo sempre maggiore della professione.