lunedì 27 febbraio 2012

Tesi di Elisa Casetta (Capitolo 4 -prima parte-): La ricerca educativa

Quinto appuntamento con la tesi di Elisa Casetta.
In questo capitolo Elisa affronta il tema della ricerca in educazione; vi proponiamo la prima parte del capitolo, e per la seconda parte vi diamo appuntamento a lunedì prossimo.
Buona lettura!



CAPITOLO 4

La ricerca educativa
La metodologia della ricerca educativa e il metodo qualitativo

La metodologia della ricerca è un processo che mira alla conoscenza di fenomeni, eventi, situazioni, comportamenti, opinioni, attraverso l'organizzazione rigorosa di percorsi e strategie. Tale processo è solitiamente suddivido in fasi che, lungi dall'essere rigide e chiuse, presentano un alto grado di flessibilità e attenzione alle informazioni di feedback che si pongono costantemente all'attenzione del ricercatore.

Gli strumenti utilizzati nel processo di ricerca possono suddividersi in strumenti procedurali, strumenti di rilevazione dei dati e strumenti di analisi e interpretazione dei dati stessi. Per l'educatore è importante avere strumenti per fare ricerca, il suo lavoro è caratterizzato dalla necessità di conoscere situazioni, contesti e soggetti in modo dettagliato per progettare interventi mirati e specifici.

Tutte le ricerche nascono da una curiosità, da un problema, da una domanda, procedono a una raccolta di dati e li valutano criticamente per dare una risposta alla domanda iniziale.

Ogni tipo di ricerca richiede una scelta accurata di metodi di indagine predefiniti e adeguati al trattamento del problema che intende affrontare. L'importante in ogni ricerca, sia essa di tipo qualititivo, che quantitativo è che cosa si intende cercare, perchè questo impone una o l'altra delle metodologie. La ricerca educativa si distingue in ricerca quantitativa e ricerca qualitativa.

La ricerca quantitativa è considerata quella metodologia di ricerca basata essenzialmente su dati statistici attraverso cui è possibile trarre dati oggettivi. Gli strumenti usati nella ricerca quantitativa sono standardizzati e rigidi. Nella ricerca quantitativa, si classificano le caratterisitiche e si costruiscono modelli statistici, allo scopo di spiegare ciò che si è osservato. La raccolta dati nella ricerca quantitativa è caratterizzata da un basso grado di interazione con l'intervistato con conseguente minor rischio di contaminazione dei dati da parte del ricercatore.

Una caratteristica essenziale dell'analisi quantitativa è il formalismo delle procedure: la raccolta, il trattamento dei dati, l'impiego della matrice di dati e l'uso della statistica seguono dei protocolli definiti e facilmente replicabili. Questa elevata formalizzazione consente al ricercatore di rilevare e immagazzinare una gran quantità di informazioni con strumenti altamente standardizzati. Il ricercatore usa strumenti come questionari o altro materiale per acquisire dati numerici. I dati quantitativi sono più efficienti e validi per testare delle ipotesi, ma possono mancare di dettagli di tipo contestuale e il ricercatore tende a rimanere oggettivamente separato dall’argomento della ricerca.

Esistono temi, argomenti però, propri della ricerca educativa che non possono, per loro natura, essere analizzati in modo quantitativo, ma richiedono un approccio descrittivo e narrativo. Questo non implica la negazione del rigore nel progettare la ricerca, formulare le ipotesi e scegliere le procedure per la raccolta dei dati.

La ricerca qualitativa infatti ha per fine la "comprensione dei fenomeni sociali, individuali e situazionali attraverso l'attenzione al particolare (...). Inoltre questi fenomeni non sono misurabili: in quanto una credenza, una rappresentazione, uno stile personale di relazione, una strategia di fronte ad un problema, una procedura decisionale sono le caratteristiche specifiche dei fatti umani". La ricerca qualitativa si caratterizza per l'assenza della matrice dei dati, la non ispezionabilità della base empirica e il carattere prevalentemente informale delle procedure di analisi dei dati. E' un tipo di ricerca in cui non si fa ricorso alla misurazione; importante è l'interpretazione logica, intuitiva la comprensione emotiva dei fenomeni.

E' adatta per i piccoli campioni e per studi in profondità di alcuni argomenti. La ricerca qualitativa si differenzia da quella quantitativa, perchè permette di lavorare su molte variabili attraverso l'analisi di pochi casi e si basa sul concetto di interazione tra il ricercatore e il soggetto in un'ottica di ricerca-azione. La ricerca qualitativa si presta ad essere applicata a situazioni micro-relazionali, reali, quindi osservabili e affrontabili solo da vicino.


In queste situazioni il ricercatore deve immergersi, non rimanere spettatore impassibile, conscio anche che la sua soggettività andrà ad influire sulla rilevazione dei dati che vuole analizzare.

E questo deve essere considerato come una risorsa, perchè in grado di rilevare la presenza di elementi che sfuggono ad ogni determinazione di tipo oggettivistico. Il ricercatore che si avvale di un'analisi qualitativa, opera per raccogliere impressioni, rappresentazioni individuali o collettive di specifici fatti ed esperienze umane e lo scopo dell'analisi è portare alla luce fatti non immediatamente visibili. Egli in questo senso non è interessato al numero dei casi, ma all'enucleazione del maggior numero di aspetti e informazioni ricavabili dal caso singolo o contestuale.

La ricerca qualitativa, resta comunque sempre aperta a variazioni e ad aggiustamenti, che possono intervenire strada facendo.

In tal senso il ricercatore qualitativo è consapevole del fatto che impara nel corso della ricerca. Quindi un'ulteriore caratteristica della ricerca qualitativa è costituita dalla sua inevitabile valenza trasformativa. 

Non solo perchè si fa ricerca qualitativa per scoprire che cosa è possibile cambiare, ma perchè l'inclusione del ricercatore cambia di fatto la situazione ingerendo nuovi equilibri o squilibri.

Per ricerca si intende il processo di costruzione del dato basato sulla richiesta di informazioni a coloro che le posseggono, con domande strutturate o libere. All'interno dell'insieme dei diversi strumenti che costituiscono questo processo, quelli maggiormente coerenti con il contesto in cui l'educatore opera sembrano essere l'intervista e il questionario. La conoscenza della metodologia della ricerca è importante per l'educatore sia che voglia vestire l'abito del ricercatore, sia che voglia arricchire il proprio bagaglio culturale e professionale, con un metodo che può avere positive e concrete ricadute nella pratica lavorativa.

Le tipologie delle domande sono in stretta relazione alle modalità di risposta previste, anzi, la strutturazione di quest'ultime influisce sulla stessa denominazione delle tipologie di domande.

Possiamo avere, domande aperte e domande chiuse, con relative risposte aperte o chiuse.


Una domanda a risposta chiusa possiede un alto grado di strutturazione, mentre una domanda a risposta aperta possiede un basso grado di strutturazione e maggiore è la strutturazione, minore sarà la discrezionalità della ricercatore e la libertà di risposta dell'intervistato.

Il concetto di discrezionalità del ricercatore riguarda la possibilità di interpretare e personalizzare le risposte dell'intervistato.

Le domande chiuse permettono agli intervistati di scegliere tra alternative prefissate di risposta, mentre le domande aperte non prevedono queste alternativa, ma si lascia ampio spazio di libertà di scrittura all'intervistato.

Il linguaggio usato nella formazione delle domande esercita una grande influenza sulle risposte ricevute. È necessario porsi il problema del livello di difficoltà delle parole o espressioni utilizzate, facendo riferimento al target degli intervistati (età, sesso, status sociale ecc..).

In generale il linguaggio deve essere il più possibile privo di ambiguità semantiche e adeguato anche al contesto che si va ad investigare, avendo come obiettivo primario la comprensibilità delle domande da parte dell'intervistato. Gli strumenti della ricerca possono essere ordinati in base al loro grado di strutturazione, quindi in base al ricorso o meno alla predifinizione delle domande; ciò consente una maggiore o minore possibilità che il ricercatore dà all'intervistato di argomentare le risposte. Possiamo così analizzare gli strumenti di cui fa uso la metodologia della ricerca, seguendo lo schema riportato da S. Crispoldi (2008):

Questionario

Intervista
(semi-strutturata e strutturata)

Intervista biografica
(non strutturata)

Intervista di gruppo
(focus group)

Il questionario è uno strumento composto generalmente da una serie di domande a ognuna delle quali è collegata una serie predefinita di risposte. Questo consente di ottenere agevolmente informazioni su un preciso tema, coinvolgendo un grande numero di soggetti.

Nel questionario chiuso, le risposte sono codificate e prefissate e non vi è possibilità di rispondere in modo diverso.


L'alta strutturazione consente di analizzare il dato con l'ausilio di tecniche statistiche, ma d'altra parte la natura quantitativa dello strumento limita la possibilità di cogliere particolari aspetti del problema e una più completa comprensione della realtà in esame.

Il questionario aperto invece, prevede domande aperte con risposte aperte, in modo da lasciar spaziare la risposta dell'intervistato.

Questo tipo di strutturazione mira più ad osservare un atteggiamento, un fatto sociale, per scoprirne le posizioni, le idee e le emozioni del soggetto rispondente. Il questionario dev'essere sempre accompagnato da una lettera di presentazione, che spieghi la finalità dell'indagine, rassicuri l'intervistato sul rispetto della sua privacy e sottolinei l'importanza di risponedere accuratamente in modo veritiero al questionario.

È importante, inoltre, curare la formulazione delle domande e il linguaggio, che dev'essere semplice e privo di ambiguità.

L'intervista
può essere considerata come uno scambio verbale fra due persone, una delle quali, ponendo delle domande, è interessata a raccogliere delle informazioni o delle opinioni su un particolare tema.

Le interviste qualitative sono, dunque, conversazioni "estese" tra il ricercatore e l’intervistato, durante le quali il ricercatore cerca di ottenere informazioni quanto più dettagliate e approfondite possibili sul tema della ricerca. Al pari delle altre tecniche qualitative, l’obiettivo primario dell’intervista è accedere alla prospettiva del soggetto studiato, cogliendo le sue categorie concettuali, le sue interpretazioni della realtà e i motivi delle sue azioni. Anche in questo caso troviamo un grado di strutturazione dell'intervista; nell'intervista semi-strutturata si ha a disposizione una serie di item che devono essere affrontati, con domande specifiche, che possono essere aperte o chiuse. L'intervistatore è libero di bilanciare il colloquio come vuole, adattandosi alla situazione di intervista e alle caratteristiche del rispondente. Infatti, per quanto sia presente una traccia fissa e comune per tutti, la conduzione dell’intervista può variare sulla base delle risposte date dall’intervistato e sulla base della singola situazione (l’intervistato può anticipare alcune risposte, l’intervistatore può dover modificare l’ordine delle domande ecc.).


L’intervista strutturata prevede, invece, un insieme fisso e ordinato di domande aperte che vengono sottoposte a tutti gli intervistati nella stessa formulazione e nella stessa sequenza, l’intervistato è lasciato libero di rispondere come crede. Il fatto che le domande vengono poste a tutti nello stesso ordine rende l’intervista poco flessibile e adattabile alla specifica situazione; da questo punto di vista essa rappresenta una sorta di mediazione tra l’approccio quantitativo e l’approccio qualitativo, una tecnica "ibrida" che raccoglie informazioni, da un lato, in modo standardizzato (le domande) e, dall’altro, in modo aperto e destrutturato (le risposte).

L’intervista biografica
poi, è un tipo di intervista libera che si basa sulla storia di vita del soggetto. Una storia di vita è un insieme di eventi, esperienze e strategie relativi alla vita di un soggetto, organizzato in forma cronologico-narrativa, che il soggetto trasmette all’intervistatore in forma spontanea o pilotata, e che il ricercatore può integrare con altre fonti, quali documenti, narrazioni o testimonianze di altri soggetti.

Scopo delle storie di vita è la comprensione di motivazioni, intenzioni, vissuti, sentimenti, credenze dei soggetti, la ricostruzione della storia del gruppo di cui i soggetti fanno parte e dei processi sociali sottesi al gruppo stesso.

L'intervista può svolgersi anche fra più persone, attraverso il focus group, in cui un gruppo di persone è interrogato riguardo all'atteggiamento personale nei confronti di uno specifico tema. Le domande sono fatte in un gruppo interattivo, in cui i partecipanti sono liberi di comunicare con altri membri del gruppo ed è importante che l'intervistatore abbia competenze adeguate per condurre questo tipo di intervista, perchè oltre a saper ascoltare, deve saper incoraggiare la persona ad esprimersi, saper condurre la discussione all'interno del gruppo e intervenire in modo corretto all'interno di esso.



4.2 La scrittura in educazione

Ho scelto di effettuare una ricerca sulla figura dell'educatore perchè nella mia breve esperienza, mi sono resa conto di quanto l'educatore professionale occupi un posto marginale all'interno delle politiche sociali e nel sistema dei servizi.

Parlando con alcuni educatori, in diversi ambiti, dalla formazione, al tirocinio, al lavoro e con diverse esperienze di vita e lavorative, l'idea emersa è quella di una professione poco visibile, invisibile si potrebbe dire, una professione non riconosciuta in quanto tale, a livello sociale, professionale ed economico. Inoltre, spesso mi sono resa conto della difficoltà degli stessi educatori di parlare del loro lavoro, di ciò che fanno concretamente, nella quotidianità, di definirsi in quanto ruolo.

Mi capita spesso, quasi sempre, di trovarmi di fronte a questo tipo di conversazione:
"Che lavoro fai?"
"L'educatrice"
"Ah....tipo maestra?"

"No..."

Oppure: "Ah.. l'educatrice, quindi che fai?"

e in questo caso mi accorgo di non essere nemmeno io in grado di definire in modo soddisfacente cosa e come lo faccio.

Sicuramente la non completa definizione dal punto di vista normativo-giuridico ha fatto sì che questa professione rimanesse ignorata e marginale rispetto alle altre.

Un altro motivo per cui l'educatore è poco riconosciuto, è perchè noi in primis non ne parliamo a sufficienza, siamo troppo presi a volte proprio dal nostro lavoro, dalle difficoltà che quotidianamente ci porta ad affrontare, dalla mancanza di risorse che a volte ci fa rinunciare ad un progetto, dal bisogno di "staccare" usciti dal turno, che non dedichiamo spazio al "portare fuori" la nostra professione e questo contribuisce a una sorta di isolamento di essa (molte iniziative si muovono in questo senso ad esempio i convegni sull'importanza della scrittura, dell'autobiografia e della


narrazione nel lavoro educativo per "lasciare traccia", "fare memoria" della nostra professine..). Ciò che si constata da tempo ormai è che, in mancanza ancora di un'immagine definita e vissuta nella società di questa professione, gli educatori vengono spesso considerati professionisti di serie B, perchè si occupano di persone di serie B, si trovano spesso a condividere confusamente l'identità del soggetto di cui si occupano perchè subiscono la discriminazione che la parte tradizionale della società riserva ancora ai soggetti in difficoltà.

La miglior costruzione e definizione della categoria professionale dovrebbe concorrere a contrastare in parte anche tale dinamica.

Così mi sono proposta di capire cosa pensano gli educatori riguardo sé stessi e la loro professione, quali possano essere i punti di forza e di debolezza e cosa si potrebbe fare per potenziare il lavoro dell'educatore professionale. Ho scelto di sottoporre dei questionari a risposta aperta agli educatori, per far sì che si prendano tutto il tempo necessario per rispondere alle domande, per far sì che si sentano liberi di esprimersi e inventare nuovi modi di descrivere la loro professione.

L'idea iniziale era quella di intervistare un gruppo di educatori, ma la scarsità di tempo a disposizione non mi ha permesso di condurre questo tipo di ricerca. Riflettendo sulla modalità da utilizzare poi, sono giunta alla constatazione dell'importanza della scrittura nel nostro lavoro, come mezzo per narrare la propria esperienza di vita e lavorativa, le proprie emozioni, per fare memoria e creare un'identità che si fermi su quelle righe, che sia lì e di cui si possa disporre ogni volta che si vuole.

Ascoltare, osservare, raccontare e scrivere sono parti importanti del lavoro educativo. Scrivere è il modo per ripensare la pratica, far sì che l'esperienza quotidiana diventi un patrimonio sedimentario.

La scrittura, richiedendo una certa distanza tra i fatti, una differente "messa in ordine" dei dati apre la strada ad elaborazioni che attivano nuove strategie di pensiero ed azione, nuove forme di emozione e conoscenze, in un processo di pratica-riflessione-pratica che può facilitare il passaggio dalla semplice costatazione dei fenomeni, recuperando la dimensione di ricerca e la possibilità di uno scambio costruttivo con i diversi ambiti di ricerca.

S
crivere del proprio lavoro, per l'educatore, è costruire una forma di avvenimenti, è trovare il senso della continuità tenendo insieme le cose e le idee, definendo e mantenendo una posizione consapevole. Questo tipo di scrittura mette sotto forma intenzionale l'esperienza professionale e favorisce la realizzazione di uno strumento efficace di incremento di competenza e di pensiero. Come propone Cocever E. (1996) l'importanza della scrittura è data dal trovare o dare un senso al proprio lavoro, trasformando il "fare esperienza" in "avere esperienza", per ricavare da quest'esperienza una conoscenza e un sapere forte, che rimanga tracciato nel tempo, per avviarsi verso un collegamento tra lavoro di base e lavoro di ricerca. Il saper scrivere è legato a fattori che possono accompagnare l'acquisizione di competenze e questo è possibile solo se alla scrittura viene attribuito un senso professionale e profondo e non meramente burocratico. Gli educatori, nel loro lavoro scrivono, relazioni sui casi, diari di lavoro, verbali, programmazioni, progetti... questi scritti richiedono tempo e fatica e spesso si ha l'impressione che scrivere risponda all'adempimento di un dovere, piuttosto che come occasione per elaborare l'esperienza.

Ancora Cocever E. afferma che la scrittura come strumento di mediazione nei confronti dell'esperienza è un elemento di grande importanza per la vita sociale e per la realizzazione professionale di chi è operatore.

Ecco uno dei motivi per cui ho deciso di far scrivere gli educatori, per inventare e trasformare la propria esperienza in parole, per poterle rileggerle e riconoscersi in quelle parole e prendere reale consapevolezza di sè, per iniziare un processo -anche se limitato- di consocenza e riflessione sulla professione.

"La scrittura innalza il livello di consapevolezza; per vivere e comprendere bene, abbiamo bisogno non solo della prossimità, ma anche della distanza, questa scrittura regala alla mente umana in modo unico, come nient'altro può fare"
(W.J.Ong 1986).


 

 

 

La ricerca condotta si può comunque avvicinare ad una sorta di intervista, vista la possibilità di narrare della propria vicenda lavorativa ed esperienziale senza risposte rigide e strutturate, ma avendo solo una linea giuda e lasciando spazio agli intervistati di esprimersi nel modo da loro prediletto. Per R. Atkinson (2002) la produzione di questo materiale ha alla base una modalità di scambio dialogico tra il ricercatore e il soggetto che vive l'esperienza, che può essere definita "intervista narrativa: un colloquio finalizzato alla raccolta di storie in cui il ricercatore ha il ruolo di intervistatore e il soggetto di intervistato". Il termine "intervista narrativa" è da preferire a quello di "intervista biografica", in quanto quest'ultima mira a raccogliere l'intera biografia dell'individuo, mentre la prima solo uno o più aspetti importanti della sua storia. Sempre R. Atkinson afferma che il fatto di raccontare la nostra vicenda personale ci permette di essere ascoltati, riconosciuti e apprezzati dagli altri ed è attraverso il racconto che diamo una prospettiva e un significato alla nostra esperienza.

La narrazione biografica porta alla luce aspetti nascosti dell'esperienza del soggetto e permette di prendere consapevolezza sul proprio vissuto e sul proprio operato in quel dato contesto. In questo senso affermo che la ricerca condotta si avvicina a questo approccio, perchè la finalità che ha mosso l'indagine è stata anche quella di far giungere consapevolezza agli educatori sulla loro professione.

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