giovedì 15 marzo 2012

Incubi tecnologici.

di Igor Salomone

“Ah, non so, io con la tecnologia non mi ci trovo”. Già sentita? Innumerevoli volte, direi. Nel mondo degli educatori praticamente è uno standard. Dunque non mi sarei neppure dovuto stupire più di tanto nel sentirla ripetere di nuovo. Era la pausa caffè di un laboratorio. Tutti ammassati attorno al buffet con bicchierino in mano colmo e caldo e un biscotto tra le dita e le labbra. Come da manuale del buon formatore mi sono assicurato che i corsisti se la sapessero cavare on lo spuntino autogestito, in particolare con il caffè da prepararsi a mezzo cialda nell’apposita macchinetta. “Ah, non so, io con la teconologia non mi ci trovo”, era riferito alla Lavazza per l’espresso fai-da-te. La “tecnologia”….? La TECNOLOGIA…? La macchinetta espresso per il caffè in cialde sarebbe una tecnologia che ah-non-so-non-mi-ci-trovo…?
Non può essere, evidentemente. Posso capire mia suocera, forse, ma una ragazza di venticinque anni? No, non può essere. Per esempio, peccato non glielo abbia chiesto, ma ce l’avrà la patente? Immagino di sì. E allora non quadra, perchè per quanto possa guidare un’auto di vecchia data, quell’auto è per forza mooooolto più “tecnologica” di una macchinetta per il caffè a cialde. Dunque? Dunque la sua affermazione non può essere presa in senso letterale. Piuttosto direi che assomiglia di più a una posa. Molto diffusa nelle lande italiche e, in particolar modo, tra gli educatori.
C’è qualcosa di sottilmente autocompiacente nel definirsi poco o per nulla “tecnologici”. Come dire, sono mode che non mi interessano. Anzi, non mi piacciono proprio. Anzi, nutro una certa ostilità in proposito perchè non le trovo giuste, sinanco pericolose.
Insomma, il mondo sta trasformandosi in modo radicale e inedito sotto i nostri piedi. Davvero possiamo fare spallucce dicendoci che le cose importanti sono altre? E quali, di grazia? Insomma, si può ben aspirare all’eremitaggio, alla vita campestre e comunitaria dimentica del mondo circostante, a un dimensione dell’esistenza racchiusa nel piccolo confine delle persone che si incontrano faccia a faccia e delle cose che si possono toccare con mano, possibilmente “naturali” e prodotte da sè o al massimo nel giro di qualche chilometro da casa nostra. Non è obbligatorio, certo, cavalcare i cambiamenti repentini e profondi, neanche cercare di capirli, si può trattenersi ai margini delle trasformazioni, non averne neppure il più vago sentore e, se è il caso, evitare consapevolmente di accorgersene. I modi del vivere sono mille e ognuno può tentare di scegliere quello che più lo rende felice, o per lo meno che lo fa star bene, o insomma che non lo mette a disagio, anzi, che dal disagio lo tiene lontano.
Ma allora perché fare l’educatore? Davvero ha un qualche senso occuparsi dell’aiutare il prossimo a districarsi nelle enormi difficoltà che il vivere contemporaneo propone a ogni angolo, evitando in prima persona il 99% di quelle difficoltà? Non credo. Qui non è questione di “essere” su Facebook o di utilizzare quotidianamente Internet. E’ questione di essere nel mondo, in questo mondo, e accettarne le sfide. E quella della profonda trasformazione della vita di ognuno prodotta dalla tecnolgia digitale è in questo momento una delle sfide fondamentali. Chiamarsene fuori significa rinunciare a ogni credibilità.

lunedì 12 marzo 2012

Tesi di Elisa Casetta -Conclusioni-

Eccoci al termine di questo splendido percorso, in cui Elisa Casetta, con la sua tesi, ci ha permesso di approfondire chi sia, e che cosa cosa significhi fare l'Educatore Professionale.
Vogliamo rivolgerle, da parte di tutta la redazione di Educatori in (educ)azione, un sentito grazie, innanzitutto per la disponibilità con cui ha accolto la nostra proposta di pubblicare la sua tesi, e poi per la professionalità con cui ha trattato un tema che ci riguarda in prima persona: quello della nostra professione. Grazie Elisa, sei stata una preziosa fonte di informazioni, e di spunti di riflessione.
Augurandoci altre pubblicazioni di questo spessore, vi invitiamo a leggere le conclusioni del suo lavoro, e a continuare a seguirci, perchè ciò che vi aspetta non mancherà di interessarvi.


CONCLUSIONI

A conclusione di questo viaggio in cui abbiamo esplorato la figura dell'educatore nella sua totalità e in tutti i suoi ambiti, si può delineare un epilogo provvisorio della situazione presa in esame.

Come già ribadito, la figura dell'educatore è, al momento attuale, al centro di dibattiti, discussioni e tentativi di formalizzazione controversi e di difficile definizione. Tale difficoltà attraversa interamente la figura dell'educatore, toccando gli ambiti della formazione, della definizione di un profilo, di un'identità comune, di una professionalità consolidata, e della vita lavorativa in generale.

L'educazione è perno attorno al quale ruota ogni argomento degno di nota sociale, etica, politica. È una parola vitale, che in questo periodo viene sempre più evitata e drammatizzata.

L'educazione ha a che fare con i bisogni primari e vitali di tutti, non è una risorsa opzionale e facoltativa, ma una necessità primaria.

Questa parola, anche se, mai come in questo periodo storico si nota, viene ignorata, trascurata o evitata, fa parte di noi, della nostra vita, dell'esperienza di ognuno. "Noi siamo l'educazione che abbiamo ricevuto, evitato o cercato, siamo l'educazione che abbiamo saputo dare agli altri, consapevolmente o meno, siamo l'educazione inconsciamente assorbita attraverso i modi più disparati, attraverso i quali ci hanno allevato, amato o trascurato, incoraggiato o avvilito".

Tutte le professioni sociali sono in tensione e messe in discussione dall'attuale clima politico e sociale, che spesso emargina invece di integrare.

Tutte si interrogano sulla loro funzione a sostegno dei cittadini nel proseguire la loro autonomia possibile. Per gli educatori professionali la tensione si manifesta con intensità particolare, in quanto percepiscono il rischio di evanescenza del loro ruolo tra le professioni sociali.

Come ri-dare solidità a tale ruolo per non rischiare che questo si riduca a semplice erogazione di prestazioni, compiti di assistenza e si rielabori una logica educativa, propria di tale professione?

La crisi attuale appare con evidenza nella sua dimensione economica e ne avvertiamo, fin troppo bene, gli effetti nella vita quotidiana. Gli effetti della crisi sono tangibili e riscontrabili per esempio nel fenomeno della disoccupazione e di un senso generale di incertezza verso il futuro; meno evidenti, invece, sono gli effetti della crisi sui cardini della struttura sociale, in particolare su ciò che tiene insieme una comunità e i servizi di cura: sanità, assistenza ed educazione.

Sotto i drammatici fenomeni legati all'impoverimento economico e culturale, avvengono spostamenti assai meno visibili che finiscono per investire le modalità tradizionali e istituzionali della cura e in particolare del fare educazione, e mettono in discussione il riconoscimento sociale di chi lavora in questo campo.

Importanti questioni sono state analizzate nel corso dei precedenti capitoli: Come è cambiato il profilo professionale dell'educatore?


Qual è oggi il nucleo irriducibile del suo lavoro?

Perchè la figura dell'educatore rimane relegata ai margini delle politiche sociali e dei servizi e non vi è un riconoscimento adeguato del suo operato e della sua professionalità?

All'operatore sembra essere richiesto un intervento che supera o restringe la sua identità professionale. Che sia per sovrapposizione, nel momento in cui avverte la necessità di prestazioni supplementari, rispetto a quella educativa, o piuttosto per erosione, che riduce l'educativo ad altro, ad assistenzialismo, controllo o semplice aiuto, i confini professionali sono posti in discussione. In più, si assiste al fatto che la professione educativa entra in competizione con altri professionisti o giunge a confondersi con chi semplicemente si occupa di assistenza.

Oggi l'educatore si trova spesso a doversi chiedere: "Che ci faccio io qui?", e come l'educatore lo fa l'intero gruppo di lavoro, in quanto è sempre più evidente che manchi un senso di appartenenza comune al mondo della cooperativa sociale, di cui tutti i servizi oggi fanno parte.

L' adesione ad una cooperativa, vent'anni fa era basata su un consenso ideologico e politico, mentre ora sono necessari titolo di studio e certificazione delle competenze.



Tuttociò ha portato a creare un sistema di lavoro piu rigoroso e disciplinato, ma anche fatto pagare un prezzo di un minor entusiasmo e passione: sembra venir meno l'idea di un gruppo che lavora insieme per lo stesso obiettivo e si ha la percezione di lavorare su binari già tracciati.

Sembra non esserci più un obiettivo comune di "cambiamento" semmai "miglioramento continuo", come insegnano le procedure di certificazione della qualità, che chiedono di dare evidenza oggettiva ad ogni processo lavorativo e lo sottopongono a continue verifiche per cercare appunto, un miglioramento.

Prima la percezione era quella di lavorare in fede ad un ideale, per inseguire uno scopo, una missione; ora l'idea è quella di lavorare per necessità, inseguendo tabelle orarie e restando fedeli solo al mercato del lavoro. Giostrare tutti gli educatori possibili su vari fronti è ormai diventata una realtà quotidiana che rende nettamente più difficile fermarsi a riflettere su ciò che si fà, importante competenza che dà sempre caratterizza le professioni sociali, in particolare quella dell'educatore.

Alla progressiva riduzione dei fondi e la scarsa capacità di creare politiche sociali adeguate, si accompagna una spinta alla formalizzazione che burocratizza all'estremo l'evento educativo: cerificazioni, accreditamenti, relazioni, progetti e mandati sempre più specifici ma spesso incomprensibili; tutto ciò sottopone l'educatore a un toure de force di adempimenti, che trasforma il lavoro educativo a puro prestiazionismo, rimandando alla riflessione su che cosa si intende per educazione e che tipo di educatore si vuole formare.

L'educatore stretto tra la quotidianità e le incombenze formali, tra la relazione con gli utenti e le procedure necessarie per far funzionare un servizio, rischia di non potersi occupare di ciò che rende il suo lavoro differente da quello di altri professionisti. "Rischia cioè di perdere di vista il suo principale obiettivo: lavorare per rendere possibile che qualcun altro, sperimenti l'apertura di un tempo e di uno spazio speciale, di separazione e sospensione della loro quotidianità, spesso non positiva".



La possibilità di riflessione, però, non si dà facilmente nel contesto odierno, sempre più povero di luoghi di riflessione e di supervisione anche nei servizi; quindi al nostro educatore spesso non resta che agire inventando nuove proposte di attività, che prendono spunto, per esempio, dalle sue passioni (ad es.: cucinare, andare a cavallo ecc.), come farebbe un qualsiasi adulto senza bisogno di non essere un professionista (genitore, volontario ecc.).

Quando succede questo la confusione che si genera crea un alone di invisbilità intorno alla figura dell'educatore, e apre lo spazio per una nuova domanda: "E' proprio vero che tutti possono fare gli educatori?" .

Siamo tutti d'accordo sul dire ciò che l'educatore non è (non è uno psicologo, non è un assistente sociale ecc.), piuttosto che dire cosa sia in senso positivo. "Che lavoro fai?" diventa una domanda insostenibile, alla quale l'educatore spesso non sa come rispondere e si trova in difficoltà nello spiegare quello che concretamente fà nella pratica lavorativa.

L'educatore trova la sua professionalità se entra in relazione con l'altro, cosa che però possono fare anche altri professionisti, come lo psicologo o il medico. Se è vero che tutti possono costruire relazioni e alcuni lo possono fare in modo professionale e terapeutico, che tipo di relazione è quella educativa?

Dunque, l'educatore potrebbe trovare la sua professionalità nel "fare", un "fare intenzionale", inteso come il guidare un'azione formativa ed esserne responsabili. Tuttavia ciò non distingue il fare dell'educutaore dal fare di un politico o di un assistente sociale.

Ancora, la specificità dell'educatore potrebbe essere il cercare di essere promotore di un cambiamento, ma il cambiamento può essere promosso da chi si trova ad educare perchè semplicemente genitore o insegnante.

Sembra essere un'opinione diffusa allora quella che tutti possano fare gli educatori, e spesso gli educatori stessi in assenza di risposte soddisfacenti, spostano l'attenzione sul versante della specializzazione.

La specializzazione è certamente utile e necessaria per lo sviluppo professionale, ma non può definire la scorciatoia per definire il lavoro educativo.



L'educatore, nella sua storia professionale, è riuscito a costruire una professionalità capace di operare in molteplici luoghi, a mobilitare energie educative-naturali, come le famiglie, le reti informali, allargando il modo della vita del disabile e rendendo lettera viva ai loro progetti e agli eventi educativi; a creare situazioni residenziali per persone psichiatriche, costruendo condizioni in cui la vivibilità è responsabilità diffusa del quartiere; ad animare i condomini e a farsi carico dei vicini di casa, di modo che le persone anziane si sentano più sicure se a casa sole; sono riusciti fare sognare migliaia di giovani, mettendo a disposizione luoghi da trasformare in imprese proprie e quanto serve per sentire di avere un progetto di vita tra le mani, a ridare il piacere di pensare ad un futuro per questi ragazzi, fornendo spazi per pensare, divertirsi, confrontarsi.

Sono riusciti insomma, a costruire cantucci di polis in cui è più piacevole vivere, crescere ed amare..

Allora, forse non è così vero che tutti possono fare l'educatore, ma sembra più facile lasciare nell'invisibilità il suo operato e nell'ombra la questione della professionalità: gli effetti dell'impegno educativo non sono tangibili, almeno non sempre e non subito; non si può misurare, quindi quantificare o qualificare il prodotto dell'agire professionale. Qui entra in gioco la questione della documentazione, come momento da privilegiare per raccontare, fare vedere ciò che si fa. È nella documentazione che è possibile pensare, conservare e trasmettere come tesoro agli altri, l'agire pedagogico.

Un altro punto in questione è quello dell'avvicinamento del lavoro educativo sempre più vicino e simile a quello assistenziale.

Ovvio che, l'assistenza, nel senso del prendersi cura ha a che fare da sempre con l'educazione, che sta alla base della società.

Oggi l'assistenziale appartiene a tutte le procedure in campo sociale e si annida negli interventi socio-sanitari e socio-educativi e ogni sua azione viene classificata in base al bisogno della persona e quindi al raggiungimento di un obiettivo quantificabile. Da qui il lavoro educativo spesso diviene semplicemente un lavoro di assistenza, di controllo delle qualità, di custodia, eliminando ogni possibilità alternativa.




"È vero che gli educatori, da decenni, attendevano un'adeguata formalizzazione della loro professione, ma ciò non toglie che il prezzo che stanno pagando per vedersi riconosciuti rischia di ammontare all'estinzione".

Il DM 520/98, così come il decreto interministeriale del 2 Aprile 2001, hanno contribuito sì alla formalizzazione e riconoscimento dell'educatore professionale, ma solo nel comparto sanitario, lasciando fortemente in disparte la figura sociale-educativa di questa professione.

In tal modo è avvenuto il passaggio dell'educatore da professionista "anfibio", ovvero capace di prestare la propria opera sia nel settore socio-assistenziale sia nel sanitario, a favore di un operatore riconosciuto formalmente solo nel sanitario. Questo sradica profondamente una delle principali competenze e caratteristiche dell'educatore, che si ritrova impreparato a lavorare nel sociale, a fare opera di prevenzione e sostegno e non solo di cura ed assistenza.

Tuttavia, le altre figure professionali posseggono almeno qualche certezza a cui ricorrere nei momenti di difficoltà: l'albo professionale.

Nella ricerca condotta sulla figura dell'educatore, molti hanno individuato come mezzo per avere un maggior riconoscimento e professionalità la costituzione di un albo professionale, come atto che già di per sé sancisce la nascita di una professione.

Le ipotesi su cui si è basata la ricerca, vengono confermate in quanto

la maggior parte degli educatori ha riscontrato il problema del riconoscimento come punto debole della professione, e insieme, aggiunto che l'educatore stesso ha difficoltà a parlare di sé e questo crea grosse difficoltà a livello identitario. La dimensione identitaria di una professione costituisce qualcosa di fondamentale, che porta la persona a riconoscersi in quello che è professionalmente. Forse nella professione dell'educatore manca proprio questo sentirsi parte di un tutto.

È tempo di uscire dall'improvvisazione, che ha caratterizzato l'educatore negli anni passati, per costruire una professione scientificamente fondata, basata in particolar modo sulla progettazione educativa e sulla competenza pedagogica.

Essere dotati di metodo e rigorosità scientifica, non significa escludere il lato umano e il carico emotivo che porta sempre con sé questa professione, ma anzi significa recuperare queste caratteristiche per poterle affrontare al meglio.

È importante riaffermare con forza che l'esperienza educativa si distingue da qualsiasi altra esperienza, se pur ricca e significativa della vita; essa è un'esperienza indispensabile e protetta, che l'educatore, confrontandosi in équipe, progetta, allestisce e valuta, non solo come responsabile ma anche come regista. Ma questo non basta: "è necessario creare una cultura che non sia solo genericamente educativa, ma che dimostri nella teoria e nella pratica il valore e le peculiarità dei saperi pedagogici. Ciò è possibile sono facendo ricerca e, in particolare, tenendo insieme l'educazione fatta sul campo con quella scritta sui libri".

Se l'educatore non intende incorrere nel rischio di venire travolto da un rapido processo di obsolescenza delle competenze o della professione stessa, dev'essere in grado di adoperarsi in primo luogo per promuovere ricerca e integrarla nella quotidianità del suo lavoro, e sia lui stesso promotore di cambiamento sociale e culturale.

Importante, inoltre, è documentare la perizia educativa sul campo, bisogna depositare le azioni in vista di un'autentica, seppur critica e problematica, scientificità pedagogica; mirare ad una formazione attenta e permanente, per garantire sempre la conoscenza dei contesti in cui si lavora, la flessibilità e l'apertura al cambiamento e a possibili nuovi scenari; infine, costruire una logica del servizio, insieme al progetto esistenziale del soggetto, per far sì che il servizio non sia solo luogo di assistenza e cura, ma anche teatro delle sue possibilità.

sabato 10 marzo 2012

"Quasi amici"

Invito tutti a guardare questo film, che apre le porte a riflessioni che vanno oltre il nostro tradizionale e inadeguato modo di pensare e trattare disabilità.


SCHEDA FILM

Trama:
Quasi amici, ispirato ad una storia vera, racconta l'incontro tra due mondi apparentemente lontani. Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso paraplegico, il ricco aristocratico Philippe assume Driss, ragazzo di periferia appena uscito dalla prigione, come badante personale. Per dirla senza troppi giri di parole, la persona meno adatta per questo incarico. L'improbabile connubio genera altrettanto improbabili incontri tra Vivaldi e gli Earth, Wind and Fire, dizione perfetta e slang di strada, completi eleganti e tute da ginnastica.

FOTOGRAFIA: Mathieu Vadepied
MONTAGGIO: Dorian Rigal-Ansous
MUSICHE: Ludovico Einaudi
PRODUZIONE: Quad Productions, Chaocorp, Gaumont
DISTRIBUZIONE: Medusa Film
PAESE: Francia 2012
DURATA: 112 Min
FORMATO: Colore 1.85 : 1


CRITICA:

Il pubblico ha bisogno di storie, possibilmente semplici, capaci di toccare quelle corde emotive che se pizzicate suscitino le due reazioni più genuine che dall'infanzia alla terza età scortano la vita di ogni essere umano: la risata e il pianto. I registi e sceneggiatori Eric Toledano e Olivier Nakache riescono ad equilibrare entrambe le cose portando al cinema un pezzo di vita vera: l'adattamento che ne fanno è un encomiabile lavoro di scrittura che oscilla tra divertimento e commozione. (Antonio Bracco)


NOTE:

Record di apertura boxoffice in Francia con più di 2 milioni di presenze in cinque giorni.

lunedì 5 marzo 2012

Tesi di Elisa Casetta (Capitolo 4 -seconda parte-): La micro-ricerca: le risposte degli educatori.

Avviandoci verso la conclusione di questa interessante dissertazione, ecco a voi la seconda parte del capitolo 4.L'appuntamento è per lunedì prossimo, per la parte conclusiva della tesi!

La micro-ricerca: le risposte degli educatori

In questa seconda parte del capitolo si ripercoreranno le fasi operative della ricerca e come il ricercatore si è mosso per effettuare il suo lavoro.

Si analizzeranno quindi:

gli obiettivi, e le ipotesi che ha seguito la ricerca;

la stesura della traccia del questionario;

la scelta del campione e la distribuzione dei questionari;

l'analisi e l'interpretazione dei questionari.

4.3 Obiettivi ed ipotesi della ricerca:

La ricerca condotta ha come obiettivo quello di indagare la professione dell'educatore professionale, attraverso l'esperienza degli stessi.

La ricerca assume caratteristiche di tipo esplorative nel tentativo di far emergere le opinioni degli educatori sul loro ruolo e sulla loro percezione professionale all'interno del contesto socio-culturale attuale in cui operano. Si è prediletto per questo un approccio di tipo qualitativo, solitamente tipico della ricerca idiografica in cui si "mira a far luce su una data situazione educativa, spazialmente, temporalmente e culturalmente situata, allo scopo di avere una comprensione approfondita della situazione considerata nella sua unicità e specificità" .

La ricerca idiografica non mira a formulare leggi generali, ma piuttosto a conoscere le idee degli intervistati su una data situazione.

Le ipotesi che ha seguito la ricerca sono:

la figura dell'educatore non viene riconosciuta e occupa un posto marginale all'interno delle politiche sociali e delle organizzazioni dei servizi.

l'educatore professionale non si riconosce nel suo ruolo e non si adopera sufficientemente per attuare questo processo di riconoscimento e di presa coscienza dell'importanza della professione.



4.4 Stesura della traccia dei questionari

La stesura dei questionari è avvenuta in primo tempo, anticipando le domande tramite una lettera di presentazione in cui, oltre a presentarmi, ho esposto le finalità dell'indagine e le motivazioni che mi hanno spinto ad effettuare la ricerca, e ho richiesto agli educatori di esprimersi sull'argomento, in base alla loro formazione ed esperienza lavorativa.

Il questionario viene compilato in forma anonima, ma abbiamo ritenuto necessario inserire delle brevi domande di presentazione anche per gli educatori, quali:

età;

anni di esperienza;

titolo professionale;

lavoro attuale.

Questa suddivisione è doverosa al fine di avere una visione più globale delle opinioni degli educatori sull'argomento trattato, in modo da avere delle categorie di pensiero che si distinguono inevitabilmente in funzione all'età, all'esperienza e al tipo di formazione ricevuta dall'educatore.

Dopo la presentazione sono state proposte le domande proprie della ricerca, che mirano all'esplorazione della figura dell'educatore. Ho scelto di proporre poche ed essenziali domande agli intervistati, proprio perchè volevo arrivare subito alla centralità dell'argomento, cioè il riconoscimento della figura professionale. Riporto qui le domande quel questionario:


Un' immagine della tua professione... (disegno,metafora, parola).

Punti di forza e punti di debolezza della pratica professionale dell'educatore.

In propsettiva...cosa bisognerebbe potenziare affinchè la professione possa essere maggiormente ricoosciuta?

C'è un' altra domanda a cui avresti voluto rispondere?


 

 
4.5 La scelta del campione e distribuzione dei questionari

Il campione è stato scelto in modo casuale, ma seguendo una linea guida in base alla suddivisione degli intervistati per :

Anni di esperienza ed età (giovani, fino a 5 anni di esperienza;

medi
, dai 5 ai 15 anni di esperienza; anziani, oltre a 15 anni di esperienza)

Rappresentatività dei percorsi formativi (possesso di titolo abilitante e non possesso di titolo abilitante).

Si è effettuata questa separazione per avere una visione d'insieme anche in base alle differenze di età e di percorso. In tutto sono stati distribuiti cinquantasette questionari, alcuni portati personalmente nei Servizi che conoscevo, sul posto di lavoro, a tirocinio o nei servizi in cui lavora qualche educatore che conosco; altri sono stati inviati per e-mail per la scarsità di tempo e l'impossibilità di raggiungere tutte le persone.

La distribuzione dei questionari è avvenuta nel giro di due giorni circa e la raccolta degli stessi era prevista entro una settimana. A due giorni dalla scandenza avevo cinque questionari e questo ha creato in me motivo di forte ansia, per cui ho cortesemente richiamato alcuni educatori per compilare il questionario. Non è stato difficile reperire gli educatori, più complicata invece, è stata la fase di raccolta dei questionari.

Questo può essere dato dal fatto che rispondere a delle domande sulla propria professione può essere un compito noioso, che occupa tempo, e spesso ci si dimentica del questionario mandato per mail, anche per la stessa difficoltà degli educatori a trovare del tempo libero da dedicare ad altro..ancor meno se per "altro" si intende scrivere della propria professione, dopo magari un turno pesantissimo ed estenuante!". Proprio per questo si è pensato di recapitare un numero elevato di questionari, per la consapevolezza che non tutti sarebbero tornati al ricercatore.

Dopo aver ritrattato una seconda scadenza, a tre giorni di distanza, abbiamo finalmente tra le mani trentasei questionari, che considero un numero sufficiente per indagare sull'argomento.


 

In base alla suddivisione sopra descritta, abbiamo:

N° 8 educatori giovani con titolo in Interfacoltà Educazione Professionale e n° 4 educatori giovani senza titolo abilitante, ma in formazione.

N° 12 educatori di media età con vari titoli tra Scienze dell'Educazione, Riqualifica in Interfacoltà Educazione Professionale e n° 4 educatori di media età senza alcun titolo abilitante.

N° 7 educatori anziani, con vari titolo tra Scienze dell'Educazione, F.I.R.A.S e Riqualifica in Interfacoltà in Educazione Professionale e n° 1 educatore anziano senza titolo abilitante.


4.6 L'analisi e l'interpretazione dei questionari

Dopo la raccolta e la lettura approfondita dei questionari si è proceduto alla loro codifica e interpretazione. Si è quindi analizzato per ogni domanda i punti in comune e la valorizzazione delle differenze, rilevate per ogni questionario, al fine di verificare le ipotesi della ricerca.

Si è costantemente perseguito l'obiettivo di manipolare il meno possibile il materiale a disposizione, facilitando la trasmissione dei significati espressi usando le stesse parole del narratore. Questa infatti, è la caratteristica peculiare del metodo narrativo. Si è intervenuti anche sull'ottimizzazione della punteggiatura e sulla correzione delle incongruenze grammaticali.



L'immagine dell'educatore professionale

Per rispondere alla prima domanda otto educatori hanno utilizzato un disegno, docidi una metafora, due hanno prediletto un metodo diverso, quale un film e una canzone e gli altri hanno preferito inserire solo una parola per decrivere la propria professione. Le idee comuni emerse nella maggior parte dei questionari alla domanda: "Un'immagine della tua professione.. (un disegno, una parola, una metafora..)", sono da una parte quella di accoglienza, sostegno, relazione, mediazione, crescita, cambiamento, intenzionalità, flessibilità e complessità e dall'altra quella di imprevedibilità, incertezza e insicurezza.

Otto persone hanno rappresentato la figura dell'educatore attraverso un disegno, tra cui ritroviamo l'immagine delle mani, di due figure che camminano insieme, un albero in crescita, una strada con ostacoli, una macchina inceppata, di cui riporto la spiegazione: "Dare una spinta per far ripartire una macchina inceppata, per poi lasciarla viaggiare autonomamente" e infine un aquilone: " Un aggeggio difficile da imparare ad usare, molte volte cade a terra e molte volte si rialza in volo..spesso, anche quando pensi di saperci fare, di essere un professionista è il vento a decidere la direzione dell'aquilone e la sua caduta.. Ci va allentamento e tanta forza di volontà!".

Altre due immagini curiose sono state riportate nei questionari, una rappresenta il "Cubo di rubik", e l'altra "Il gioco dell'impiccato".

Per il "Cubo di Rubik" una possibile interpretazione potrebbe essere quella delle infintite possibilità e strumenti che l'educatore ha a disposizione nel suo lavoro, della versatilità e flessibilità nel trovare risposte e soluzioni e della possibilità di cambiare e modificare un progetto, un percorso, quando necessario. "Il gioco dell'impiccato" consiste nell'indovinare la parola giusta usando un numero limitato di tentativi, prima che l'omino finisca impiccato; penso che questo disegno rimandi ad una riflessione più ampia sulla figura dell'educatore, inserito nel contesto socio-culturale in cui agisce e sulla precarietà che la professione sta vivendo in questo tempo.


 

La mancanza di fondi, la non tutela e i numerosi tagli da parte del sistema sociale contribuiscono alla svalutazione delle professioni che del sociale si occupano e questo riflette sulla scarsa motivazione e poca fiducia nel futuro degli operatori. Penso che metaforicamente si riferisca al fatto che se lo Stato continua a tagliare sul settore socio-sanitario, il cappio contiuerà a stringersi intorno al collo di professionisti e utenti.

Dodici educatori poi, hanno espresso la loro professione attraverso una metafora, di cui riporto le più significative:

"Una bilancia, alla ricerca costante di un equilibrio tra il micro e il macro, le dimensioni legate alla quotidinità e le dimensioni di scelte del welfare".

L'educatore è come un "operaio psichico.. un mediatore culturale tra i bisogni del paziente e il meccanismo istituzionale".

L'educatore è "colui che tenta di ricucire i nodi di una rete un pò usurata".

La mia professione.."un'onda leggera del mare, che lascia parte di sé sulla sabbia e porta con sé parte della sabbia" ; l'educatore nel suo lavoro mette parte della sua personalità e della sua interiorità a disposizione dell'Altro e accoglie l'interiorità dell'Altro e questo permette una scambio profondo, che inevitabilmente modifica entrambi.

"Fai agli altri ciò che vorresti gli altri facessero a te"

"Vedo la mia professione riflessa nel pensiero di Michelangelo sulla scultura: Michelangelo riteneva che la forma delle sue sculture fosse già presente all'interno del blocco di marmo e allo scultore rimaneva solo il compito di liberarla, eliminando la materia in eccesso".
Allo stesso modo questa professione tenta di liberare l'essenza, le capacità e le potenzialità insite e spesso latenti nei soggetti di cui si prende cura.

"L'arcobaleno, perchè mi sembra che ben rappresenti il cambiamento che è il motore del nostro agire professionale... per quanto può essere forte e lungo un temporale il sereno arriva!".

In particolare due educatori hanno privilegiato l'uso di altri strumenti per rappresentare la loro professione:

la canzone di G.Gaber "Non insegnate ai bambini", penso che questo significhi che l'educatore non deve diventare un sostituto di qualcuno o indicare "la retta via" e fare in modo che si persegua quella, ma dev'essere un sostenitore di un pezzo di strada, che cammina al fianco, nè davanti, nè dietro al soggetto di cui si prende carico. L'altro mezzo indicato è un film di Beeban Kidron "A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar". Dopo aver guardato il film penso che il senso del lavoro educativo sia collegato al concetto di diversità e cambiamento: accogliere ed accettare la diversità, di qualunque tipo essa sia, volgere uno sguardo completo, a 360 gradi, è il primo passo per attuare un processo di cambiamento, che può avvenire a tutti i livelli e in ogni situazione, con tutte le difficoltà che questo può comportare.

La prima domanda del questionario è stata formulata in questo modo perchè si voleva dare la possibilità di far rappresentare agli educatori la loro professione con un metodo diverso, simbolico e creativo, in modo da estrapolare un significato più profondo e differenziato.

È importante esplorare le immagini, le rappresentazioni che gli educatori danno di sè e quelle che gli altri (altri operatori, utenti...) hanno di loro, perchè l' immagine ha un impatto più immediato di molte parole e rimandano subito alla dimensione emozionale e profonda, aspetto fondante del lavoro educativo.

Visto che credo che il lavoro educativo sia anche inventiva e creatività, ho ritenuto necessario dedicare uno spazio che potesse accogliere queste forme.

4.6.2 Forza e debolezza dell'Educatore professionale

La seconda domanda: " Punti di forza e punti di debolezza della pratica professionale dell'educatore", è stata pensata per far individuare proprio agli educatori quali secondo loro sono gli aspetti positivi e negativi della professione, in riferimento all'auto-riconoscimento e al riconoscimento nei Servizi, come fase preliminare per poi cercare di comprendere quali possano essere i possibili punti da implementare per un maggior riconoscimento della stessa. Le risposte sono abbastanza omogenee ed uniformi.

Sia per i punti di forza che per i punti di debolezza, ho individuato risposte comuni principalmente in due ambiti della professione che classifico in ambito delle capacità personali/relazionali e in ambito delle competenze professionali.

PUNTI DI FORZA

Ambito delle capacità personali/relazionali :
essere una persona sensibile, creativa, espressiva, motivata, essere capaci di mettersi in gioco costantemente; capacità di avere un contatto diretto con l'utenza, capacità di vicinanza all'altro (accoglienza, ascolto, sostegno, empatia); usare come strumento privilegiato la relazione educativa.

Ambito delle competenze professionali:
essere mediatore tra l'utente e il contesto familiare e socio-culturale in cui è inserito, essere promotore di cultura e di giustizia sociale; avere una formazione multidisciplinare che permette di dialogare con diversi saperi e in diversi contesti; saper interagire in équipe, saper lavorare in rete e in diversi ambiti lavorativi; alimentare il proprio lavoro di intenzionalità educativa e di progettazione per permette all'educatore di tracciare linee guida per muoversi al meglio e non lasciare nulla al caso.

L' educatore quindi si costituisce come un professionista, dotato si specifiche competenze personali e metodologiche, che lavora a stretto contatto con le persone che si trovano in un momentaneo stato di difficoltà e costruisce con loro un progetto di vita.

Per fare ciò l'educatore ha bisogno di vari strumenti, prima di tutto della relazione educativa:

"Il più importante punto di forza dell'educatore è costituito dalla "meraviglia" della relazione con l'utente, dalla possibilità di lavorare sulla parte "sana" del soggetto per mirare ad un futuro migliore ed attuare un vero cambiamento".

"La vicinanza con l'utente permette di effettuare un lavoro più autentico, cogliendo maggiormente i bisogni e creando un rapporto di fiducia con esso".

" Come punti di forza individuo sicuramente l'ascolto, l'empatia e la voglia di aiutare l'altro, non in modo volontaristico, ma apportando professionalità al progetto di vita del soggetto per promuovere la sua autonomia".

Un' altra idea comune è quella di un educatore duttile, flessibile, in grado di mettersi in gioco e operare nella complessità :

"La capacità di abitare l'incertezza, di sostare nel dubbio, la capacità di valorizzare le risorse degli individui e mobilitare quelle dei contesti locali, la capacità di costruire reti all'interno del territorio e di districarsi nella complessità, di lavorare per progetti educativi dialogici, duttili e dinamici, di ricercare soluzioni a partire dall'anilisi congiunta dei meccanismi di protezione e di rischio (...)"
fanno dell'educatore un professionista a tutti gli effetti.

" L' E.P. ha una formazione che gli consente di analizzare le situazioni da vari punti di vista ed approcci teorici (psicologico-pedagogico-medico), e di giungere quindi a valutazioni approfondite (...). Inoltre , egli può operare in diversi settori del sociale e questo gli permette di indivuduare l'ambito che più si adatta alla sua personalità per sfruttare al meglio le sue potenzialità al servizio dell'altro e sentirsi soddisfatto".

PUNTI DI DEBOLEZZA

Ambito delle capacità personali/relazionali:
incapacità di mantenere la giusta distanza dall'utenza e incapacità di "staccare" dopo il lavoro; possibilità di fallimento del progetto educativo e di "sbagliare strada" ; "gli estremi tra il delirio di onnipotenza e la rassegnazione cronica"; incapacità di esprimere chi è l'educatore e poca propensione a diffondere la professione; incapacità di avere una coscienza collettiva.

Ambito delle competenze professionali
: incapacità di gestire il conflitto all'interno di un'équipe e incapacità di lavorare in rete; formazione inadeguata sia per la mancanza di una formazione unica a livello nazionale, che per quanto attiene alla debolezza pratica e tecnica; poca supervisione, importante per sostenere l'educatore e poca documentazione, importante per registrare e fare memoria di ciò che si fà; poca credibilità professionale nei confronti di altre professioni (assistente sociale, insegnante, NPI, infermiere ecc.); poche risorse e fondi a disposizione e debolezza politica; poca visibilità della professione e sostegno da parte delle istituzioni; non vi è un riconoscimento sociale della professione (mancanza di un profilo unico dell' E.P., mancanza di selezione di soli professionisti in ambito lavorativo); e non vi è nemmeno un riconscimento economico (molti educatori infatti lamentano di percepire una retribuzione inadeguata per le funzioni che svolgono e le responsabilità attribuite alla loro figura).

Come si può notare dalla suddivisione delle risposte il lavoro di rete e la gestione dell' équipe, risulta sia un punto di forza che un punto di debolezza nel lavoro educativo. Il lavoro dell'educatore è caratterizzato da uno stretto contatto con l'utenza, ma non solo, perchè l'educatore è quotidianamente a contatto anche con altri professionisti, siano essi appartenenti allo stesso gruppo di lavoro, che presenti sul territorio in altri servizi. Questo punto può essere considerato un punto di forza e insieme di debolezza perchè significa prestare attenzione alla globalità della persona e non solo ad aspetti settoriali di questa, e per avere uno sguardo globale è importante effettuare un buon lavoro di rete, che se viene a mancare ricade inevitabilmente sull'intero progetto.

Anche per quanto riguarda l'ambito delle debolezze ritengo opportuno individuare alcune frasi significative riportate dagli educatori, sempre cercando di mantenere la suddivisione tra l'ambito personale e quello delle competenze professionali.

"I punti di debolezza che mi preme elencare sono l'incapacità di riuscire a staccare dopo il turno, perchè spesso capita che si portino a casa le difficoltà quotidiane del nostro lavoro, insieme alll'incapacità di mantenere un distacco emotivo ed affettivo dall'utente, che se non controllato di certo non giova al nostro lavoro da una parte e all'autonomia del soggetto dall'altra".

Un ulteriore punto di debolezza comune riguarda il senso del fallimento: "Operiamo in un orizzonte non sempre ben chiaro: il rischio di fallimento delle aspettative e dei progetti mette a dura prova il lavoro dell'educatore e la sua efficacia nell'esercitare il proprio ruolo (..)".

Per quanto riguarda i punti di debolezza della professione dal secondo punto di vista, le idee frequenti rimandano alla mancanza di un'adeguata formazione, di un profilo unico per l'educatore professionale, allo scarso riconoscimento politico sociale ed economico e in generale alla criticità della situazione politica contemporanea.

"È possibile svolgere la professione, anche senza un percorso formativo adeguato e il possesso di un titolo specifico e questo ricade sulla qualità dell'offerta educativa e sulla possibilità di un adeguato riconoscimento della nostra professione... Un medico o un infermiere potrebbero svolgere la loro professione senza una formazione adeguata? (..) La mancanza voluta e non effettiva di fondi, di risorse e di politiche sociali poi, penalizzano il lavoro assistenziale ed educativo e non permettono ai professionisti di lavorare nelle migliori condizioni, per sé e per l'utente".


 

Questo è il concetto prevalentemente espresso dagli educatori riguardo il loro ruolo e il contesto sociale in cui si trovano ad operare, in cui interagiscono numerose variabili, dalla formazione inadeguata e un giusto riconoscimento, alla mancata erogazione da parte dello Stato di risorse sufficienti per operare in modo dignitosi, variabili queste, che di certo non giovano alla professione. Infine ci tengo a pubblicare la risposta a questa seconda domanda di un educatore, che tocca numerosi punti critici del panorama educativo e che apre ampi spazi di riflessione:

"A mio avviso si compenetra come punto di forza e punto di debolezza quello di essere...tutto e niente! Un pò psicologo, un pò pedagogo, un pò sociologo, un pò oss..ma niente di tutte queste cose. Mi pare che, non infrequentemente, venga indicato cosa l'educatore non può fare (ad es: questo contatto con i servizi sociali è compito del responsabile del servizio, la somministrazione dei farmaci è deputata agli oss ecc.), piuttosto di quello che può e deve fare. A volte sembra che la nostra professione sia riconducibile solamente a interventi di "buon senso", trascurando strategie e modalità, frutto di studio e di esperienza insieme alle motivazioni che hanno fatto di noi degli educatori. (...) Esiste poi, una "debolezza politica": la figura dell'educatore non ha certo la forza dell'assistente sociale o dell'infermiere; lo vediamo oggi in modo particolare nelle manifestazioni che difendono il Welfare: la figura dell'educatore è marginale! Dove sono gli educatori? L'A.N.E.P. a fronte di questa situazione politica, nel giro di diversi mesi ha raccolto la miseria di circa 300 firme! (...). Mi pare inoltre carente una "coscienza collettiva": ci si lamenta all'interno del proprio servizio e della propria realtà senza esprimere una capacità culturale al di fuori; l'educatore è mediamente capace di proporre cultura, si vede l'educatore come "colui che fà" piuttosto che "colui che insieme fà e riflette".. e come ultima critica sarebbe importante che ci sia una presenza maggiore di educatori docenti nell'ambito della formazione, per trasferire un sapere più reale e autentico
della professione".

4.6.3 Per un maggior riconoscimento


Alla domanda "In prospettiva...cosa manca oppure cosa bisognerebbe potenziare affinchè la professione possa essere maggiormente riconosciuta?" le risposte ottenute più frequentemente sono:

Costituire un'identità professionale precisa dell'educatore professionale, questo anche attraverso la diffusione di cultura e di informazione su quello che concretamente fà l'educatore; essere in primis promotori del proprio lavoro.

Promuovere la formazione permanente anche attraverso gli scritti e la documentazione degli educatori stessi, per comprendere appieno la loro funzione.

La creazione di un ordine degli educatori e la possibilità di essere rappresentati da un sindacato.

La costituzione di un albo professionale degli educatori è già di per sé un atto che sancisce la nascita della professione e quindi la possibilità di essere maggiormente riconosciuta; la costituzione di un codice deontologico, come risorsa per favorire visibiltà al lavoro educativo, aumentando perciò conoscenza, valore e spessore alla professione; la creazione di un percorso formativo unico a livello nazionale e di un profilo unico sia per l'educatore socio-sanitario che per l'educatore sociale.

Maggiore selezione all'interno dei servizi, per far in modo che l'educatore non venga confuso con altre figure professionali, acquisti credibilità rispetto al proprio lavoro e aumenti la qualità del suo intervento.

Maggior sostegno da parte delle istituzioni, politiche sociali atte a salvaguardare la professione e il settore sociale e maggior forza e rappresentatività da parte delle cooperative in questo senso.


 

 

"Sbagliamo nel pensare che debbano essere solo gli altri ad accorgersi di noi.."
. Così esordisce un educatore alla terza domanda del questionario!

Probabilmente si riferisce al fatto che anche noi, educatori, dobbiamo farci sentire e non dobbiamo solo aspettare che qualcuno si accorga di noi e attui un processo di riconoscimento della professione, senza il nostra collaborazione. Infatti, proprio come riporta un altro educatore: " Credo che la stessa comunità degli educatori professionali debba muoversi e partecipare per il riconoscimento della professione, a partire dal servizio e dall'organizzazione per cui lavora, promuovendo cultura educativa, aderendo all'A.N.E.P. (...)" ; e ancora: "Gli educatori per primi, dovrebbero parlare in maniera più comprensibile di quello che fanno ed avere un maggior rispetto della propria professione e professionalità, pretenderlo dalle altre figure professionali con cui opera e a livello più alto dal sistema sociale."

A livello politico e burocratico poi, ci si concentra maggiormente sulla costituzione di un albo professionale e di una figura unica della professione: "Creare un ordine degli educatori, qualcosa che ci unisca e ci fortifichi in quanto professione, un profilo unico per l'educatore professionale e insieme la costituzione di un albo professionale che sicuramente gioverebbe alla figura."

E infine dopo tutte le risposte critiche riportate in queste pagine, un educatore riferisce: "Nonostante tutto, credo che il riconoscimento maggiore arrivi dalle persone con cui lavoriamo e questo possiamo solo guadagnarcelo lavorando nel migliore dei modi..". Proprio per questo motivo sarebbe importante attivare risorse e politiche sociali, per dare modo alle professioni di svolgere il loro ruolo nel migliore dei modi e agli utenti di avere il diritto e la speranza di un futuro migliore.


 

 

 

 

 

 
Altre domande per ricercare

Infine, "C'è una domanda a cui avresti voluto rispondere, oppure hai qualcosa da aggiungere?" è una domanda pensata per avere un'opinione

libera da parte dei rispondenti. Data la brevità dell'intervista, si è pensato di lasciare uno spazio libero affinchè gli educatori avessero l'opportunità di esprimere ciò che desideravano riguardo l'argomento, oppure esprimessero una considerazione rispetto alla conduzione della ricerca e alla modalità utilizzata. Ventidue intervistati hanno risposto a quest'ultima domanda. C'è chi ha ribadito ulteriormente gli aspetti fondanti della professione rispetto all'utenza, all'équipe, all'importanza della relazione e alla situazione contemporanea; chi invece, andando in profondità, ha espresso delle considerazioni sulle motivazioni che l'hanno portato a scegliere questa professione, sul livello di soddisfacimento e gratificazione della stessa, e, ai piani più alti sul livello di riconoscimento:

"Avrei voluto rispondere alla domanda sul perchè ho scelto questa professione e la risposta sarebbe stata: perchè credo che un cambiamento sia sempre possibile in ogni situazione, perchè questo lavoro mi riempie di soddisfazioni e ritengo che a volte non sia solo un lavoro, ma una missione!";

"Avrei chiesto se sono soddisfatta del mio lavoro...oppure se il mandato che l'amministrazione mi dà come educatore è condiviso da me..ritengo che le modifiche che sono state apportate al ruolo dell'educatore dall'amministrazione comunale non siano state condivise dal gruppo degli educatori e individualmente non si è interpellati circa il cambio di mansioni che viene richiesto. Ruolo sempre più di operatore unico, simile all'assistente sociale".

Chi ancora, ha manifestato dubbi e perplessità rispetto alla condizione attuale, e al futuro di questa professione, ponendo numerosi interrogativi:

"Quale futuro per l'educatore? Sarà sempre considerato un professionista di serie B e verrà man mano sempre più confuso con l'oss, l'assistente sociale o altre figure? Perchè farci entrare nei meccanismi burocratici dell'Università, delle organizzazioni.. quando poi, non abbiamo un minimo riconoscimento da parte della società? Un albo professionale al pari delle altre professioni?"
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Un altro educatore scrive: "In questo periodo storico dove ci troviamo a parlare continuamente di tagli e rinunce in un ambito già fortemente disagiato, che futuro ha l'educatore? Si salverà? Ognuno seguirà la sua passione e continuerà a fare il proprio lavoro sotto forma di volontariato? (..)".

Chi, ancora, con un occhio ben più critico rispetto agli altri e con un pò di rassegnazione, afferma:

" Proposte per potenziare il riconoscimento della professione? Questa professione è alla deriva, quello che ne rimane va fatto morire a sé stesso. Bisogna rinnovarla e riforndarla da zero, lontani dalle pesantezze burocratiche, tipo l'Università, o dalle richieste prescrittive delle cooperative sociali e dal sistema in generale, che non vogliono operatori formati e critici, ma docili ed ubbidienti tecnici del controllo sociale".

Questi interrogativi racchiudono perfettamente il clima di insicurezza sociale che sta vivendo la professione dell'educatore, a cui purtroppo è difficile dare delle risposte.

Chi infine, ha espresso delle osservazioni più tecniche rispetto alle modalità utilizzate per condurre la ricerca, ad esempio la preferenza di un questionario a risposta chiusa, per la facilità e la velocità nel rispondere alle domande; ed anche la valutazione di aver fatto più difficoltà a rispondere alla seconda domanda, per quanto riguarda i punti di forza della professione, piuttosto che quelli di debolezza.