mercoledì 21 dicembre 2011

Riflessione di Silvia Lo Sardo


INSIEME PER UN CAMMINO DI RIAPPROPRIAZIONE DEI DIRITTI E DELLA PARTECIPAZIONE ATTRAVERSO LA VOLONTA’ A DETERMINARE LE NOSTRE SORTI PROFESSIONALI DI OPERATORI SOCIALI E QUELLE DELLE PERSONE CHE ACCOMPAGNIAMO/SOSTENIAMO NELLE LORO DIFFICOLTA’ E SOFFERENZE.

Vorrei rivolgermi prima a chi si è ritirato da ogni tavolo di lavoro, da ogni confronto, da ogni formazione. Vorrei chiedere a questi miei colleghi: cosa si guadagna dall’azione del ritiro? O al contrario dall’azione di fare azioni di protesta “aggressiva”? Forse poter dire che tutto “fa schifo”, che i politici sono tutti uguali e corrotti, che non c’è speranza né via di uscita e non per colpa nostra: siamo solo dei poveri operatori sociali! Non è reale.
Di fatto ci tiriamo fuori o rinunciamo alla nostra identità professionale e non ci prendiamo la responsabilità del nostro lavoro e della nostra vita. A questo ci serve stare in ritirata, o al contrario in battaglia, in entrambi i casi comunque si dice:”è colpa degli altri, non dipende da me” quindi mi ritiro o quindi ti attacco. E’, dal mio punto di vista invece vitale per tutti noi prenderci la responsabilità di trovare una risposta ai nostri problemi quotidiani, avere chiaro qual è il metodo che ci orienta nelle scelte, costruire occasioni di confronto e crescita e scegliere quindi un pensiero comune che ci rappresenti.
Occorre più che mai mettere a frutto “l’abilità della risposta” che tutti possediamo, rispondere di ciò che sta accadendo anche individualmente, annullando appartenenze culturalmente radicate in contesti troppo condizionati e manipolati.
Per non renderci complici di un sistema che sentiamo lontano da noi possiamo individuare un metodo per fare la nostra scelta. Abbiamo tutti gli strumenti che ci derivano proprio dal nostro lavoro.
Un metodo coerente con la nostra coscienza, con poche regole chiare, che abbia come riferimento valoriale il rispetto reciproco e i diritti/doveri civili per porre giusti confini; il rispetto della Costituzione italiana, nel suo art. 3 in particolare dove si afferma l’idea di un’eguaglianza sostanziale e attribuisce alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Possiamo diventare esigenti se diamo il nostro contributo. Altrimenti siamo solo capricciosi: ognuno per sé con le proprie appartenenze e con le proprie ideologie senza poterci mai mettere d’accordo e crescere come comunità. Il metodo invece che si rivela una strada percorribile è quello dell’uomo, è antropologico, riguarda cioè noi tutti con quello di cui abbiamo bisogno davvero e che ci accomuna come esseri umani. Individuare cos’è giusto e cosa sbagliato nel rispetto reciproco vuol dire poter poggiare i piedi per terra, starci, e sapere poi dove andare insieme con forza vitale positiva.
Vuol dire la possibilità di darci strumenti utili per essere parte attiva della società in cui viviamo.
Se identifichiamo valori in cui tutti possiamo riconoscerci, sarà più semplice trovare regole e norme utili e buone per noi.
Cosa possiamo fare concretamente per andare in questa direzione?
  • Possiamo non paralizzarci (anche di fronte ai fatti di sabato 16 ottobre 2011 a Roma) e ritrovarci per costruire (scegliamo una situazione dove poterci essere o mandare un rappresentante) non solo in casa propria;
  • Possiamo cominciare ad esplicitare chi non sosterremo o voteremo più dandoci delle regole di senso come: 
  1. chi non si prende la responsabilità (il vorrei ma non posso … si è sempre fatto così …)
  2. chi segue come un cieco una ideologia, il proprio leader, religione, partito; rinunciando al necessario esame di realtà e ad un atteggiamento dinamico in direzione del bene comune; 
  3. chi dice bugie (lo possiamo comprendere chiaramente); 
  4. chi prospetta panorami pericolosi in quanto diversi dai propri; 
  5. chi ci vuole spaventare non con fatti ma con fantasmi; 
  6. chi insulta o denigra l’avversario; 
  7. chi non risponde in modo chiaro e concreto alle domande; 
  8. chi non è puntuale a rispondere degli impegni assunti; 
  9. chi risponde alle domande dicendo che anche qualcun altro aveva fatto lo stesso; 
  10. chi “affonda” le donne e gli uomini con battute maschiliste, misogine, distruttive per la persona; 
  11. chi abitualmente pratica la doppia morale; 
  12. chi non tiene conto, prima di ogni altra cosa, dei bisogni veri degli esseri umani (la possibilità di crescere e realizzarsi attraverso il diritto alla vita, alla salute, alla casa, al lavoro, allo studio, all’istruzione). 
E’ possibile trovare uno spazio comune di intesa con altri esseri umani e poi perseguire insieme un cammino civile all’interno del quale ognuno è diverso ma unico e nessuno è speciale. Cosa impedisce la nostra coesione, quella di tutte le realtà cittadine almeno, e la partecipazione comune alla costruzione di un futuro? Vedo un po’ di movimento “in città” ma lo sento anche di contrapposizione e di pretesa, qualche volta senza radici. Personalmente avrei bisogno di qualcosa di diverso. Il discorso è lungo ma non credo nella strada della protesta. La protesta dal mio punto di vista è efficace se ci sono i presupposti di un’autodefinizione personale e professionale (prima devo sapere chiaramente dove sono io). Gli operatori sociali non ce l’hanno e non per responsabilità totale di esterni.
La tentazione infantile di non voler vedere e non voler sentire la realtà attuale di profondo degrado è dilagante ma c’è resistenza anche fra gli operatori sociali a lavorare in modo serio e determinato per arginarla davvero.
I problemi possiamo risolverceli solo noi prendendoci in prima persona la responsabilità di costruirci in gruppi di lavoro (non solo all’interno delle nostre realtà) “mischiandoci” e scegliendo rappresentanti che in modo evidentemente onesto, pongano regole chiare per il bene comune rispettandole.
Abbandoniamo la pretesa che qualcun altro ci dovrà “salvare”. Peraltro nessuno ci salverà, nessuno ci risolverà i problemi con nessun partito e nessun movimento se non ci muoviamo per primi noi, individualmente, in modo costruttivo e responsabile.
E’ un atteggiamento maturo accettare il limite umano; si può essere intelligenti, geniali, unici ma tutti limitati e fragili, tutti ci confrontiamo in ugual modo con la vita e la morte, con debolezze personali e ognuno costruisce, si protegge e/o si difende da queste in modo diverso.
Per intenderci, non esistono uomini che possono essere felici perché possiedono molte case e molte donne. Non sta nei bisogni veri di un uomo adulto. Noi, grazie al nostro lavoro questo lo sappiamo, ne abbiamo esperienza. Non è poco. Uomini così sanno come ottenere il successo e il potere ma non hanno sviluppato alcuna competenza su come poter stare nella dignità umana e dunque nella gioia e nel senso profondo della vita. Cosa possono realisticamente fare questo genere di uomini per noi? Nulla.
Quel che ci possono offrire non ci serve davvero, non possono essere loro il nostro riferimento. Senz’altro ci sono moltissime persone ormai che, vicine ad un illusorio benessere, ne traggono benefici economici e che non hanno alcuna intenzione di “mollare l’osso”, persone che non vivono nella vita ma nella sua immagine, che qualche chilo in più l’han messo su a causa dei troppi privilegi e della “pesantezza” del potere e stanno “ingrassando” all’ombra di questo sole malato loro e purtroppo anche i loro figli, producendo talvolta dolore anche estremo, all’interno delle loro stesse famiglie.
Purtroppo questo non è buono per nessuno.
Noi che la vita la vogliamo vivere davvero, siamo molto più che moltissimi: è realtà.
Mi rivolgo dunque anche a quanti invece hanno deciso di impegnarsi in prima linea, ho ricevuto in questi giorni tante sollecitazioni, negli incontri dell’associazione culturale Differentità nascono idee meravigliose che in questo periodo vediamo poi girare in rete anche da altri: c’è fermento, sarebbe utile e buono utilizzarlo bene.
Ho letto quanto scrivono gli operatori sociali “non dormienti” e anche tutte le iniziative formative di Gruppo Abele, Sermig, e tanti altri, tutti impegnati a dire niente frammentazione, tutti uniti e costruzione.
Di fatto però quel che vedo non è coerente a tali intenti. Certo il mettere insieme non è facile ma viviamo a Torino. Torino è storicamente “sociale”, è la città di storici educatori,di santi educatori. E’ la città oggi di Don Ciotti, Ernesto Olivero, Don Sergio Messina e di tanti altri che portano con sé comunità vive, impegnate, appassionate, coraggiose.
Circa 5 anni fa, altra personalità di Torino, Massimo Gramellini, aveva scritto nel suo BUONGIORNO:

"Le rivoluzioni politiche annegano gli ideali nell’aceto del compromesso e dell’ambizione. Sono le rivoluzioni spirituali a produrre esiti più interessanti. Ma di quelle ne arriva in media una ogni duemila anni. Chissà, magari fra un po’ ci siamo di nuovo"

Allora io dico che ci siamo, io credo che la rivoluzione spirituale può partire dalla Torino ricca di cultura, volontariato, operatori sociali, educatori professionali, categorie che tutti i giorni “fanno politica” nella sua accezione di servizio per la comunità, nel qui ed ora, nella quotidiana vita reale della gente comune.
Realizzare un incontro organizzativo (mettiamo sul tavolo le risorse di: università, confederazioni, leghe, ANEP, associazioni, cooperative grandi e piccole, ente pubblico e quant’altro) con la partecipazione di tutte le parti sociali della città, lasciando andare individualismi e interessi di parte, potrebbe costituire un vantaggio e un progresso per tutti.
Personalmente e con la cooperativa cui appartengo e come “operatori del sociale” ci siamo messi in gioco in un appuntamento annuale formativo, da 5 anni ormai, per la costruzione di una sempre maggiore dignità di categoria e per darci la possibilità di poter essere più incisivi nella nostra società (quello di quest’anno: la quinta giornata degli educatori professionali, sarà il prossimo 27 e 28 ottobre). Ora però è il tempo di “passare parola”, di “mettere insieme” le forze di tutti, l’occasione se si vuole, l’abbiamo, anzi ce ne sono tante.
Mi ricorda Mauro Piccinelli che la famosa "marcia del sale", che portò Gandhi a liberare l'India dal giogo inglese, cominciò con 79 (settantanove!!!) persone... Credo, come lui, che a radunare 79 persone potremmo anche farcela
La voce del sociale a Torino è significativa e reale, fortemente radicata nel territorio e nel suo tempo, è una voce che lavora per l’integrazione e per un futuro dignitoso per ogni essere umano. Penso che quest’ultimo costituisca un obiettivo di primario interesse per tutti.
Diceva una canzone “libertà è partecipazione” …
Silvia Lo Sardo

Torino, 17 ottobre 2011

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